Città di Castello (in latino Tifernum Tiberinum; comunemente abbreviato in Castello), è un comune italiano di 40 072 abitanti della provincia di Perugia in Umbria. Principale centro dell'alta valle del Tevere, è sede vescovile della diocesi di Città di Castello.
Molti sono i fattori che contribuiscono a definire peculiare la città: la struttura architettonica rinascimentale, la densità di popolazione, la posizione geografica e la parlata dialettale. È una città che, per la sua collocazione, è culturalmente molto legata alle regioni confinanti: Toscana e Marche.
Situato nella zona nord dell'Umbria in posizione strategica nell'Alta Valtiberina, il comune possiede un'exclave compresa tra i comuni di Apecchio (PU) e Sant'Angelo in Vado (PU) nelle Marche corrispondente all'area di Monte Ruperto dell'estensione di circa 500 ettari e con un numero di abitanti pari allo zero. Con la sua superficie di 387 km², si colloca al 20º posto fra i 100 comuni più estesi d'Italia. Altezza sul livello del mare: 288 metri. Altezza minima: 248 metri. Altezza massima: 1.006 metri.
Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Città di Castello. |
Essendo situata su una vallata interna, il clima presenta caratteristiche tipicamente continentali con forte escursione termica tra la stagione più fredda e quella più calda, comunque mitigato dagli influssi occidentali provenienti dal Mar Tirreno, specie durante la stagione invernale. La temperatura media annuale è di 12,8 °C, le precipitazioni si aggirano sui 900 mm annui e sono concentrate soprattutto in primavera ed autunno, con siccità estiva stemperata da eventuali e brevi temporali che si sviluppano durante le ore pomeridiane. Durante la stagione fredda la neve raggiunge la città circa due-tre volte, con accumuli raramente rilevanti e si hanno frequenti gelate notturne che in particolari situazioni di innevamento e trasparenza dell'aria possono far scendere la temperatura anche oltre i −10 °C. Gennaio è il mese più freddo con una media di 3,9 °C, luglio ed agosto quelli più caldi con una temperatura media di circa 23 °C.
L'insediamento originario fu fondato dagli Umbri sulla riva sinistra del Tevere in prossimità del territorio assoggettato al controllo degli Etruschi; a partire dal III secolo a.C., a causa dell'espansione romana, la città fu federata di Roma e, successivamente, fu inserita nella Regio VI Umbria. Dal I secolo a.C. divenne municipio romano, di cui patrono più illustre fu Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, il quale, secondo quanto affermato in una sua lettera, fece erigere un tempio, ultimato nel 103 o 104, di cui non si conosce la collocazione.
Certamente, la gens Plinia possedeva vasti latifondi nelle vicinanze della città ed una villa è più volte ricordata dallo stesso Plinio il Giovane, nelle sue lettere; gli scavi operati dall'Università di Perugia in collaborazione con l'Università di Alicante, in località Colle Plinio nel comune di San Giustino, hanno permesso di individuare la collocazione della villa di Plinio il Giovane. La città fu chiamata Tifernum Tiberinum dai Romani, al fine di distinguerla dall'omonimo insediamento posto sul Metauro, Tifernum Metaurense, e sembra che assunse una discreta rilevanza visto che è citata anche da Plinio il Vecchio.
Non è possibile, però, ricostruire con certezza la struttura urbanistica della città romana; sicuramente, però, la parte più antica della città corrisponde alla zona sud, dove, nel quartiere denominato Mattonata, sono stati rinvenuti alcuni mosaici, resti di strutture idrauliche e una porzione di muro di quello che con ogni probabilità doveva essere un anfiteatro.
Incerta è la datazione della diffusione del Cristianesimo, attribuita dalla tradizione a san Crescentino o Crescenziano, vissuto tra il III ed il IV secolo, che fu martirizzato a seguito di una condanna emessa proprio a Tifernum. Il primo vescovo di Tifernum Tiberinum, Eubodio, è documentato nell'anno 465.
Secondo la tradizione, la città fu distrutta nel VI secolo ad opera del goto Totila e successivamente ricostruita dal vescovo Florido, poi santificato e proclamato patrono della città. La città venne dunque conquistata dai Longobardi e denominata Castrum Felicitatis, per passare poi sotto il dominio dei Franchi prima e dello Stato della Chiesa poi.
Intorno al 1100 si organizzò in Comune e fu minacciata dalle pretese dell'Impero, dello Stato della Chiesa, di Firenze e di Perugia. Nella prima metà del 1200 fu denominata Civitas Castelli e, nonostante che le rivalità tra Guelfi e Ghibellini ne mettessero spesso in pericolo la libertà, poté ugualmente godere di prosperità: in quel periodo, infatti, la Diocesi tifernate si estendeva ben oltre i confini attuali, comprendendo anche gran parte dell'attuale altotevere aretino, dell'alto pesarese e del riminese interno. In questo periodo acquista indipendenza il borgo di Sansepolcro, sorto agli inizi dell'XI secolo attorno all'omonimo monastero nel contado di Città di Castello e sviluppatosi in comune autonomo tra i secoli XII e XIII.
Sul piano amministrativo la collocazione della città rimane piuttosto indefinita. Pur inserita nelle terre della Chiesa dall'VIII secolo, ancora nel 1312 viene rivendicata dall'imperatore Enrico VII come facente parte dell'impero, insieme alla vicina, e "figlia", Sansepolcro[2].
Nel 1306 si iniziò a costruire la chiesa dei Servi di Maria, poi chiamata di Santa Maria delle Grazie, divenuta nel tempo santuario mariano cittadino. Nella seconda metà del XIV secolo divenne maggiore l'influenza esercitata da Perugia, finché nel 1367 fu ricondotta sotto lo Stato della Chiesa dal cardinale Albornoz. Nel successivo anno 1368, Brancaleone Guelfucci sollevò la cittadinanza ed insorse; tuttavia, il popolo tifernate riacquistò la libertà solo nel 1375, grazie all'intervento dei fiorentini.
Nel 1422 papa Martino V affidò la città al condottiero Braccio Fortebraccio da Montone, la cui famiglia detenne il dominio fino al 1440, anno in cui iniziarono le lotte per la conquista del potere tra varie famiglie, tra le quali i Vitelli, i Fucci e i Tartarini.
Inizialmente si assistette ad un'Oligarchia formata da Vitelli, Giustini e Fucci, per passare poi al dominio dei soli Vitelli, i quali uccisero i Fucci e fecero scappare i Giustini.
Successivamente, seguirono periodi di forti rivalità che videro anche il coinvolgimento di papa Sisto IV ed un lungo assedio alla città capeggiata da Niccolò Vitelli. Tuttavia, a seguito di alterne vicende, il dominio fu definitivamente preso dai Vitelli che posero a capo della città Paolo Vitelli e Vitellozzo Vitelli.
Quest'ultimo, come noto, fu ucciso da Cesare Borgia, detto il Valentino, nella congiura di Senigallia (1502). Il Valentino si proclamò duca della città e mantenne il dominio per tutto il pontificato di papa Alessandro VI. Successivamente, fino alla fine del XVIII secolo, la città fu assoggettata allo Stato della Chiesa, che concedette però la reggenza ad un governatore alle dipendenze della consulta romana. La famiglia Vitelli, nelle alterne vicende del XV e XVI secolo, incise notevolmente nello sviluppo economico e nell'importanza politica della città. Famiglia di mecenati e condottieri, molto legati ai Medici di Firenze, abbellirono Città di Castello con molti palazzi nei quali furono chiamati a lavorare i maggiori artisti del Rinascimento, primi fra tutti Raffaello Sanzio e Luca Signorelli. Significativo fu, nel XVI secolo, l'imparentamento dei Vitelli con la famiglia dei Rossi di Parma: prima Vitello, poi Alessandro (dopo la morte del fratello) sposavano Angela Paola, sorella del conte di San Secondo Pier Maria il Giovane e del vescovo di Pavia e (dal 1551) governatore di Roma Giovan Girolamo, cugina del granduca di Firenze Cosimo de' Medici e cognata di Camilla Gonzaga.
Il 12 gennaio 1798 fecero il loro ingresso in città i soldati della Repubblica Cisalpina, che proclamarono la repubblica, ma solo il 5 maggio successivo le truppe francesi non furono in grado di sedare una rivolta partita dalle campagne e di spiccata tendenza antirepubblicana. L'ordine fu riportato il 18 giugno 1799, quando la città fu occupata dagli austriaci per volere del Papa.
Nel 1817 il territorio del comune di Città di Castello fu decurtato delle frazioni di Montecastelli, Niccone e Verna, nella parte meridionale, che passarono al comune della Fratta, oggi Umbertide. Nel 1827 dal territorio comunale furono staccati anche i territori dei nuovi comuni di San Giustino e Pietralunga.
La città riottenne nuovamente la libertà la sera dell'11 febbraio 1849 e l'11 settembre 1860 entrò nello Stato Italiano, seguendone da questo momento le vicende storiche.
Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, il rettore del locale Seminario, don Beniamino Schivo, si segnalò per la sua coraggiosa opera umanitaria a favore dei civili, dei profughi e dei perseguitati. A lui deve la vita anche una famiglia di ebrei tedeschi che fu accolta, nascosta e protetta dalla deportazione fino alla Liberazione. Per questo suo impegno di solidarietà, l'8 giugno 1986, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito a don Schivo l'alta onorificenza dei "Giusti tra le nazioni".[3] Fra gli altri, trovò rifugio nel periodo delle persecuzioni anche Elio Toaff divenuto poi rabbino capo della comunità ebraica di Roma e nominato cittadino onorario tifernate nel 1999.
Città di Castello fu liberata il 22 luglio 1944.
Nella seconda metà del XX secolo si è verificato un consistente aumento demografico, dovuto anche all'immigrazione dalle vicine Marche e Toscana, che ha portato il Comune di Città di Castello a essere il quarto comune dell'Umbria per numero di abitanti. A partire dagli anni sessanta, la città ha conosciuto un significativo mutamento del tessuto economico, e lo sviluppo industriale, specie nel settore grafico, meccanico, tessile e della ceramica ha cambiato profondamente il volto della città. Particolarmente sviluppato è il settore grafico, del mobile e del packaging. Negli ultimi anni si è avuto anche un forte sviluppo di molte aziende di servizi, specie nel settore della educazione e formazione a distanza.
Chiesa di San Francesco. Chiesa trecentesca, modificata internamente in stile barocco. Qui viene conservata una copia dello Sposalizio della Vergine, che Raffaello dipinse nel 1504, portato via dalle truppe napoleoniche nel 1798, oggi all'Accademia di Brera di Milano. Da segnalare la Cappella Vitelli, su progetto del Vasari.
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Il dialetto tifernate, come le restanti parlate della Valtiberina umbra, è caratterizzato da influssi gallo-italici (in particolar modo romagnoli) molto forti, tanto da essere spesso considerato una vera e propria forma di transizione con il gallo-italico.
Tra questi elementi i più evidenti sono la lenizione della t e della c, ad esempio podé (potere) e aguto (acuto), il suono cacuminale della s (pronunciato come la "š" o "sc"), la sonorizzazione di questa consonante in posizione intervocalica e una varietà di vocali più ampia rispetto all'italiano dovuti a metafonesi. Il più comune di questi fonemi, tipico anche dei dialetti emiliani e romagnoli, è un suono intermedio tra la a e la e aperta e viene spesso denotato con èe, ad esempio chèene (cane) e chèesa (casa).
Abitanti censiti[4]
Secondo i dati ISTAT[5] al 31 dicembre 2010 la popolazione straniera residente era di 3.985 persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano:
Romania 1.186 2,92%
Marocco 770 1,90%
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