Molfetta

Molfetta
comune
Molfetta – Stemma
 
Molfetta – Veduta
Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Regione Puglia-Stemma it.png Puglia
Provincia Città metropolitana di Bari-Stemma.png Bari
Amministrazione
Sindaco Paola Natalicchio (PD - PRC - CD - SEL - Lista civica) dal 10/06/2013
Territorio
Coordinate 41°12′00″N 16°36′00″E / 41.2°N 16.6°E41.2; 16.6 (Molfetta)Coordinate: 41°12′00″N 16°36′00″E / 41.2°N 16.6°E41.2; 16.6 (Molfetta) (Mappa)
Altitudine 15 m s.l.m.
Superficie 58,97 km²
Abitanti 60 058[1] (1º gennaio 2015)
Densità 1 018,45 ab./km²
Frazioni nessuna
Comuni confinanti Bisceglie (BT), Giovinazzo, Terlizzi, Ruvo di Puglia
Altre informazioni
Cod. postale 70056
Prefisso 080
Fuso orario UTC+1
Codice ISTAT 072029
Cod. catastale F284
Targa BA
Cl. sismica zona 3 (sismicità bassa)
Cl. climatica zona C, 1 202 GG[2]
Nome abitanti molfettesi
Patrono San Corrado di Baviera
Madonna dei Martiri
Giorno festivo 9 febbraio
8 settembre
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Molfetta
Molfetta
Posizione del comune di Molfetta all'interno della città metropolitana di Bari
Posizione del comune di Molfetta all'interno della città metropolitana di Bari
Sito istituzionale

Molfetta (Melfétte in dialetto locale) è un comune italiano di 59.919 abitanti della città metropolitana di Bari, in Puglia. La città, che sorge 25 km a nord-ovest di Bari, sulla costa del mare Adriatico.

 

Indice

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Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

Scorcio del porto e del Duomo di San Corrado.

Molfetta, che si affaccia sul Mar Adriatico, si trova, a 25 chilometri (distanza ferroviaria tra le stazioni centrali) a nord ovest di Bari, stretta tra Bisceglie a nord-ovest e Giovinazzo a sud-est, in posizione praticamente baricentrica rispetto all'andamento della costa adriatica della Puglia. Sorta anticamente sull'isoletta di Sant'Andrea, l'area urbanizzata ha un fronte mare di circa 3,5 chilometri a levante e altrettanti a ponente rispetto al nucleo antico e al porto.

Il territorio si estende verso l'entroterra murgiano e confina anche con il comune di Terlizzi, a sud. Dal punto di vista geomorfologico, esso è costituito dalle bancate calcaree del Cretaceo inferiore, piuttosto profondamente carsificate come dimostrato dal sito naturalistico-archeologico del Pulo e dalle profonde voragini carsiche in cui ci si imbatte molto spesso durante gli scavi per la realizzazione dei piani di fondazione dei nuovi edifici, concentrate in particolare lungo i margini delle lame che lo solcano in direzione mediamente perpendicolare alla costa. Le lame stesse costituiscono di per sé una delle forme macroscopiche di carsismo epigeo e rappresentano un forte indizio di presenza di forme carsificate ipogee.

Tuttavia il territorio, pur non molto esteso, ha avuto una vocazione prevalentemente agricola, almeno fino al termine del XX secolo, prima cioè che vi trovasse insediamento una vasta zona industriale (ASI), ancora in fase di ampliamento.

Clima[modifica | modifica wikitesto]

Il diretto contatto col mare e la mancanza di alture rilevanti sono alla base del clima particolarmente mite e scarso di precipitazioni della città di Molfetta. Tuttavia gli sbalzi di temperatura sono repentini e notevoli, a causa dell'afflusso dei venti freddi balcanici e per gli improvvisi acquazzoni, solitamente di breve durata, che periodicamente colpiscono la cittadina, dando un qualche respiro all'economia rurale, storicamente assetata di acqua. Tipica la terminologia che indica, nell'idioma locale, l'effetto che questi acquazzoni, così come le piogge di notevole durata (più giorni), rare per il vero, producono sul terreno agrario, cioè la cosiddetta mena, che descrive l'effetto strisciante del ruscellamento (erosione del suolo) e che non ha, nella lingua italiana, un corrispettivo altrettanto pregnante.

Vento dominante (cioè di intensità maggiore in assoluto) è la tramontana, mentre il primato di vento regnante è conteso dal maestrale e dal grecale (con una prevalenza per il primo), che sono gli altri venti che spirano dai quadranti settentrionali. Periodicamente, poi, Molfetta è battuta da improvvisi e forti (anche se di breve durata) venti di scirocco (da sud-est), d'ostro (da sud) e di libeccio, localmente detto favonio (da sud-ovest).

Panoramica porto.jpg
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Panoramica del porto e di parte del borgo antico.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il sacco di Molfetta
Strada del borgo antico.
La mattina del 18 luglio 1529, galere veneziane con a bordo il principe Caracciolo e i soldati al comando del Barone di Macchia, insieme a truppe terrestri comandate da Federico Carafa, si diressero alla volta di Molfetta per impossessarsene. Intanto in città si sparse subito la voce dell'attacco imminente, tuttavia la popolazione non si curò di allestire le dovute difese, sicura delle proprie mura.

Il Capitano di guerra del governo imperiale Ferdinando di Capua (incaricato di capeggiare le operazioni di difesa), all'udire il suono di una tromba - segno di richiesta di resa da parte dei nemici - giungere da una galera approdata nel porto molfettese, si attivò nell'organizzazione della difesa per cui fu respinto l'ultimatum.

L'attacco iniziò, dopo varie ore spese in sberleffi vicendevoli, per mano veneziana quando i medesimi decisero, chi scavalcando le fortificazioni, chi intrufolandosi di nascosto attraverso il canale di scolo nei pressi del Duomo, di irrompere in città. Nonostante la valorosa e strenue resistenza opposta da Ferdinando di Capua assieme a pochi animosi popolani, la città fu invasa dai francesi. Quantunque Caracciolo avesse ormai preso possesso del luogo, nelle ore successive continuarono intrepidi a combattere alcuni irriducibili molfettesi che arrivarono a eliminare svariati soldati occupanti.

Queste uccisioni provocarono le ire dei conquistatori che per tre giorni misero a ferro e fuoco la città, dal 18 al 20 luglio 1529. Molti rivoluzionari furono arsi vivi e le strade erano intasate dai cadaveri. I danni per la città furono incalcolabili. Su una popolazione di 5000 residenti si contarono almeno 1000 morti.

Il territorio molfettese risulta abitato sin dalla Preistoria. A questa fase risalgono, infatti, gli insediamenti più antichi, necropoli e tracce di capanne, rinvenuti nell'area circostante alla città (fondo Azzollini e viciniori) e presso il sito archeologico-naturalistico del Pulo, dolina carsica "di crollo" a circa un chilometro e mezzo dal centro urbano.

L'origine della città vera e propria risale presumibilmente all'era romana. Alcuni ritrovamenti fanno pensare all'esistenza di un villaggio di pescatori già intorno al IV secolo a.C. Questa ipotesi sembra essere plausibile, dato che, per la sua posizione, il villaggio offriva un ottimo approdo per il commercio di Rubo (Ruvo di Puglia). La prima indicazione dell'esistenza di un villaggio tra Turenum (Trani) e Natiolum (Giovinazzo) è piuttosto tarda e si ritrova nellItinerarium Provinciarum Antonini Augusti, iniziato nel 217 d.C.. Questo luogo era denominato Respa, probabilmente un'erronea trascrizione del toponimo Melpha.

Il primo documento ufficiale che attesta l'esistenza di Molfetta risale al 925. Questo atto riferisce di una "civitas" denominata Melfi. L'iniziale borgo era situato su una penisola chiamata Sant'Andrea. L'antico villaggio si sviluppò ulteriormente sotto l'alterno dominio dei Bizantini e dei Longobardi. Nel 988 i saraceni distrussero alcuni casali situati nell'entroterra molfettese. Passata sotto il dominio dei Normanni, la città fu occupata, forse nel 1057, da Pietro, figlio di Amico (I) Conte di Trani, avversario di Roberto d'Altavilla detto “il Guiscardo”. Fu lo stesso Guiscardo a cacciare Pietro e occupare Molfetta fra il 1057 e il 1058. Nel 1066 Conte di Molfetta era Gozzulino (de la Blace o de Harenc), suocero di Amico (II). Nel periodo 1073-93 Amico (II) fu signore di Molfetta, anche se ancora per diverso tempo (sino al 1100) la città restò sotto l'influenza bizantina. Nell'ottobre del 1100 Goffredo, figlio di Amico (II), era dominus (= signore) di Molfetta.

Tra la fine del 1133 e la primavera del 1134, Molfetta fu concessa da re Ruggero II a Roberto (I) di Basunvilla, suo cognato. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta prima del 1142, Roberto (II) di Basunvilla, figlio di Roberto (I) e di Giuditta, sorella di Ruggero II, divenne il nuovo signore di Molfetta. A Roberto (II), morto il 15 settembre del 1182, subentrò (sino al 1187) sua sorella Adelasia. Successivamente, Molfetta, appartenente alla contea di Conversano, entrò a far parte del demanio fino al 1190, anno in cui la stessa (contea) fu concessa a Ugo Lupino. Dopo la sua morte, avvenuta intorno al 1197-98, non lasciando eredi diretti, l'imperatrice Costanza, durante la sua reggenza del regno (dal 29 settembre 1197 al 28 novembre 1198, giorno della sua morte), infeudò Molfetta nel regio demanio. La scomparsa dell'imperatrice e la minore età di Federico II crearono una situazione che, artatamente, ricondusse Molfetta nella contea di Conversano, allora amministrata (dal 1207) “ad interim” da Ruggero de Piscina, nipote del defunto Berardo (I) di Celano già Conte di Conversano. Solo dopo il dicembre del 1220 Federico II si riprese Molfetta, già dichiarata città regia o demaniale da sua madre Costanza.

Nel periodo 1348-52 la città appartenne a Giovanni Pipino, nobile barlettano, conte di Minervino e palatino di Altamura. Nel 1353 Luigi di Taranto concesse Molfetta a suo fratello Roberto d'Angiò, principe di Taranto. Con la scomparsa di Luigi di Taranto e di Roberto d'Angiò, grazie a una bolla di papa Urbano V, in data 25 aprile 1365, Molfetta ritornò città demaniale. Nel 1383, Carlo III di Durazzo, divenuto re di Napoli dopo la morte di Giovanna I, donò la signoria di Molfetta a Giacomo del Balzo, principe di Taranto. L'anno successivo, Giacomo morì e non avendo ricevuto figli, il Principato di Taranto passò a suo nipote Raimondo del Balzo Orsini. In questo periodo la Puglia era teatro di lotta tra i due rami della famiglia angioina, il durazzesco (Carlo III di Durazzo) e il provenzale (Luigi I d'Angiò). Molti signori locali approfittarono di questa situazione. Uno di questi fu il principe di Taranto Raimundus de Baucio de Ursinis dictus dominus Raimundus. Raimondo parteggiò prima per Carlo III di Durazzo, ma poi passò sotto la bandiera di Luigi I d'Angiò. Alla morte di Luigi I d'Angiò (15 settembre 1384), Carlo III rimase il legittimo re di Napoli, ma anch'egli, all'inizio del 1386, mori assassinato. La lotta per la successione al trono che ne seguì indusse Raimondo ad approfittare di questa ennesima confusione, tanto che egli, o nel medesimo anno (1386) o nel successivo 1387, poté fregiarsi del titolo di "Signore" di Molfetta.

Il 24 aprile del 1399, re Ladislao concesse alla città l'istituzione di una fiera franca da tenersi dall'8 al 15 settembre di ogni anno. L'8 settembre dello stesso anno (1399) il Signore di Molfetta (Raimondo) e il Vescovo di Molfetta (Simon Alopa) presenziarono, forse, alla prima fiera cittadina (avvenimento non documentato, ma che trova conferma, pur in maniera indiretta, grazie alla presenza degli stemmi delle due eminenti personalità, affissi su una parete dell'atrio della Basilica della Madonna dei Martiri). Il 17 gennaio 1406 Raimondo del Balzo Orsini morì. Un anno dopo, il 23 aprile del 1407, re Ladislao si unì in matrimonio con Maria d'Enghien, vedova del predetto Raimondo, e incamerò tutti i beni del principato di Taranto.

Per diploma del 4 maggio 1416, nel quale fu riassunto il privilegio concesso dall'imperatrice Costanza e da suo figlio Federico II, la regina Giovanna II confermò Molfetta città demaniale.

Molfetta dall'XI secolo è sede vescovile. Ebbe commerci con altri mercati del Mediterraneo, tra cui Venezia, Alessandria d'Egitto, Costantinopoli, Amalfi e Ragusa (Croazia). Nel secolo XII, durante le Crociate, il passaggio dei pellegrini diretti verso la Terra Santa diedero alla città una certa rinomanza. Uno di questi pellegrini, Corrado di Baviera, divenne poi il patrono della città.

Con il passaggio del potere della città dai Durazzo agli Aragonesi, la situazione precipitò, in conseguenza dei difficili rapporti e dei contrasti tra francesi, spagnoli e italiani. Questa situazione portò a guerre e devastazioni in tutto il sud Italia, tra cui il "sacco di Molfetta" da parte dei francesi tra il 18 e il 19 luglio 1529. Questo episodio marcò notevolmente la città, ostacolandone la rinascita per lungo tempo.

Intanto, il 15 aprile del 1522, nella città di Bruxelles, l’imperatore Carlo V aveva ratificato la vendita delle città di Molfetta e Giovinazzo concordata per il prezzo di 50.000 ducati d’oro (per diploma del 5 aprile 1522) in favore di Ferdinando de Capua [d’Altavilla]. Il 3 ottobre del medesimo anno (1522), Carlo V aveva eretto in Principato la città di Molfetta e concesso a Ferdinando de Capua il titolo di Principe. Il 29 novembre 1523 Ferdinando de Capua era morto a Milano. Per testamento del 20 novembre Ferdinando aveva disposto erede universale sua figlia Isabella.

Dopo il Sacco di Molfetta, il 31 ottobre del 1530, Carlo V concesse l’assenso regio per il matrimonio da contrarsi tra Ferrante I Gonzaga (Mantova, n. 28 gennaio 1507 - Bruxelles, m. 15 novembre 1557) e Isabella de Capua. Nel maggio del 1531 i due erano già uniti in matrimonio. Ferrante I ebbe quattordici figli, di questi undici nacquero dalla moglie Isabella de Capua, i restanti due nacquero da relazioni extra matrimoniali.

Alla morte di Ferrante I, il principato di Molfetta (come pure la signoria di Guastalla) passò a suo figlio Cesare I (Palermo, n. 6 settembre 1536 - Guastalla, m. 17 febbraio 1575) che, nell’aprile del 1560, si unì in matrimonio con Camilla Borromeo (m. 6 settembre 1582), sorella del Cardinale Carlo Borromeo e del Conte Federico Borromeo. Cesare I ebbe quattro figli: due (Carlo e Ippolita) nati, forse, da relazioni antecedenti al matrimonio e due da Camilla, Margherita (Roma, n. 1562 - Guastalla, m. 14 giugno 1628) e Ferrante II (Mantova, n. 27 luglio 1563 - Reggiolo, m. 5 agosto 1630), che nel 1575 successe al padre nella contea di Guastalla sotto la tutela della madre.

Ferrante II nel 1587 sposò Vittoria Doria (n. 1569 - m. 1618 ca.), figlia di Gian Andrea (di Giannettino) Doria e Zenobia di Marc’Antonio Dei Carretto (o del Caretto). Il 10 settembre 1580 il principe di Melfi, Gian Andrea Doria, e Ferrante II sottoscrissero i capitoli per il matrimonio da contrarsi tra esso Ferrante II e Vittoria figlia del citato principe. La dote fu stabilita in 100.000 ducati. Il 22 giugno 1618 Vittoria Doria fece il suo testamento con il quale dispose erede universale tutti i suoi figli. Alla sua morte Ferrante II lasciò dieci figli, sei maschi e quattro femmine, avuti dal matrimonio con Vittoria Doria. Suo successore fu Cesare II (Mantova, n. 1592 - Vienna, m. 26 febbraio 1632). Nel 1612 sposò Isabella di Paolo Giordano Orsini duca di Bracciano, morta nel 1623 all’età di 25 anni. Quest’ultima (Isabella) diede alla luce due figli: Vespasiano (n. 8 settembre 1621 - m. 5 maggio 1687) e Ferrante III (n. 4 aprile 1618 - m. 11 gennaio 1678) che nel 1647 sposò Margherita d’Alfonso d’Este duca di Modena. Per testamento del 3 gennaio 1632 Cesare II istituì erede il primogenito Ferrante III.

Il Principe Ferrante II Gonzaga, pur avendo un vasto patrimonio, ebbe la sventura di soccombere al grave peso d’ingenti debiti. Tra i creditori del medesimo vi fu Vittoria Spinola, moglie di Giovanni Battista di Niccolò Doria e cugina di primo grado dell’anzidetta Vittoria Doria, moglie di Ferrante II. Vittoria Spinola, per atto redatto in Genova il 28 febbraio 1617, aveva prestato a Ferrante II 20.000 scudi d’oro. Ferrante II, inoltre, aveva preso in prestito anche molte decine di migliaia di ducati da suo suocero Gian Andrea Doria, da Agostino di Giacomo Doria (marito di Eliana di Goffredo Spinola) e da Gian Stefano Doria. Nel 1633 tutti i crediti citati erano vantati dal solo Gian Stefano Doria, come cessionario degli altri due. Il 10 novembre del 1633 fu redatto un atto tra il menzionato Gian Stefano e il principe Ferrante III nel quale si fece il conto delle somme, alle quali ascendeva il credito del primo contro del secondo, come erede del principe Ferrante II principale debitore.

Gian Stefano Doria, figlio dei coniugi Nicolò Doria e Aurelia Grimaldi, aveva sposato Ottavia Spinola, sorella di detta Vittoria Spinola moglie di Giovanni Battista Doria, fratello del medesimo Gian Stefano. Alla morte dei due fratelli Doria, Gian Stefano e Giovanni Battista, avvenuta senza lasciare discendenti diretti, le loro ingenti ricchezze furono ereditate dai nipoti ossia i figli delle loro sorelle: Luca Spinola (figlio di Maria di Nicolò Doria, moglie di Gaspare di Goffredo Spinola, nonché nipote di Eliana Spinola moglie di Agostino di Giacomo Doria) ed i fratelli Nicolò e Carlo Salvago (figli di Livia Doria, moglie di Enrico fu Acellino Salvago).

Il 28 giugno 1635 comparve nella Gran Corte della Vicaria il principe Ferrante III, ove presentò istanza di voler ritenere la città di Molfetta, in virtù del credito riveniente da due doti matrimoniali: quella di sua madre, Isabella Orsini, e quella di Vittoria Doria, sua avola (= nonna), del valore di 100.000 ducati ciascuna, per un totale di 200.000 ducati. Somma che apparteneva interamente a Ferrante III, per la sua quota e come cessionario dei suoi zii Carlo, Vincenzo, Andrea, Giovanni e Francesco, figli di Vittoria Doria. Per  decreto del successivo 13 luglio dello stesso anno (1635) il Tribunale della Gran Corte concesse a Ferrante III la facoltà di ritenere la città di Molfetta dopo l'esecuzione di una perizia estimativa della stessa (città). In esecuzione di questo decreto si procedette all'apprezzo della città di Molfetta, operazione eseguita a cura del Tavolario, signor Felice di Riso, il quale, con sua relazione dell’8 agosto 1635, stimò il valore della nostra città pari a 102.971 ducati. Valore definitivo certificato e convalidato per altro decreto del 23 agosto 1635. Il 2 aprile del 1640 per atto rogato da notar Giovanni Francesco Poggio di Genova, il nobile Giacinto Biaggio, procuratore di Ferrante (= Ferdinando) III Gonzaga, vendette a Gian Stefano Doria, il quale nello stesso atto nominò suo nipote Luca Spinola, la città di Molfetta per 170.000 ducati, di questa cifra 161.219 ducati costituivano il debito del Gonzaga nei confronti del Doria. Il successivo 4 maggio 1640 Ferrante III Gonzaga ratificò l'atto di compra-vendita poc'anzi citato. In realtà, la vendita della città non trovò piena e immediata esecuzione perché il Regio Consiglio Collaterale in data 11 luglio 1640 sospese a Luca Spinola il possesso della stessa. Questa situazione fu risolta nel biennio 1643-44 ossia dopo l'impetrazione dell'assenso reale e la concessione dell'exequatur al regio assenso. Tuttavia, già in data 18 gennaio del 1641 è certificata la presenza a Molfetta del nobile genovese Francesco Benegassi (o Benigassi) in qualità di Agente, Vicario o Luogotenente Generale del signor Luca Spinola "utile signore e padrone della città".

Sette anni dopo l'acquisto della città, il 20 aprile dell'anno 1647, i coniugi Luca (n. 1597 ca. - Savona, m. 1657) figlio di Gaspare Spinola e Pellina (n. 1599 - Genova, m. 29 settembre 1670) figlia di Giovanni Battista Spinola, si recarono in visita a Molfetta. Assieme a loro giunsero Michele Imperiale, marchese d'Oria, e la consorte Brigida Grimaldi. Il seguente Lunedì dell'Angelo (22 aprile), in visita di cortesia al Principe, a Molfetta giunse il Preside della Provincia di Terra di Bari, Bernardino (di Diego) de Chignones (o de Quiñones), duca di San Manco (o Santo Mango, oggi San Mango Cilento).

Quattro anni dopo (1651), Giovanni Filippo Spinola, Duca di San Pietro in Galatina, genero di Luca Spinola (il 21 novembre 1650 aveva sposato la figlia Veronica, sua nipote), affittò al nobile genovese Francesco Benegassi gli introiti derivati da alcuni diritti che vantava sulla città di Molfetta, a iniziare dal 1º marzo 1652 e fino alla fine di febbraio del 1655, per il prezzo di ducati 4.400 in oro, per ogni singolo anno. Due anni dopo (1653) Giovanni Filippo Spinola rinnovo questo affittò a favore di Josepho Manzoni di Ancona per otto anni e per il prezzo di 7.000 ducati annui.

Con il trattato di Utrecht del 1714, che pose fine alla guerra tra Filippo V e gli stati d'Europa, il Regno di Napoli cessò di essere dominio spagnolo e divenne dominio austriaco. Iniziò così l'occupazione austriaca di Molfetta.

Dopo un avvicendamento di potere tra francesi e austriaci, la località seguì le vicissitudini dell'Italia unita. Nell'ottobre del 1860 infatti si tenne nella Piazza Municipio di Molfetta, il plebiscito per l'annessione del Regno delle due Sicilie al governo di Vittorio Emanuele II, il cui scontato esito decretò l'annessione del regno all'Italia unificata.

Assai grande fu il tributo di vite umane che la città pugliese dové subire durante la prima guerra mondiale offrendo alla patria il sacrificio di 500 concittadini, tra cui quello del maggiore Domenico Picca. Dopo alcuni mesi dall'inizio della guerra, la città subì un cannoneggiamento da parte di una unità della marina austriaca e successivamente subì un attacco aereo, che produsse alcune vittime fra la popolazione civile.

La campagna, infatti, prevalentemente coltivata a uliveto spesso misto a mandorleto e con rari appezzamenti in cui fino agli anni sessanta si coltivava la vite, si è lentamente trasformata. Da alcuni decenni si sono diffuse la floricoltura (in serre) e la coltivazione in serra anche degli ortaggi mentre vaste aree costiere, specialmente verso Bisceglie, da oltre un secolo coltivate a orto, stanno inesorabilmente mutando la propria destinazione, sia sotto la enorme pressione che l'imprenditoria edile esercita sul territorio, sia alla luce delle inevitabili trasformazioni che il piano per il nuovo porto, avviato nella primavera del 2008, comporterà.

Riconosciuta e popolare per la cittadinanza è la festa patronale della Madonna dei Martiri che si tiene l'8 settembre con la tradizionale sagra a mare, come anche le suggestive processioni della Settimana Santa di Molfetta, che ripercorrono le tappe simboliche della Passione di Gesù Cristo.

Stemma[modifica | modifica wikitesto]

Molfetta-Stemma.png

Lo stemma della città di Molfetta è costituito da una banda di colore bianco o argento in cui sono incise le lettere S. P. Q. M., il cui significato è Senatus Populusque Melphictiensis, il tutto inserito in un campo rosso sostenuto da due ramoscelli (l'ulivo a destra e l'alloro a sinistra). Nell'estremità superiore, c'è la corona della città rappresentata da una cinta muraria e da otto torri, di cui cinque visibili.

La definizione di SPQM si conforma all'omologo "SPQR" proprio dell'emblema della città di Roma e fu aggiunto allo stemma nel 1911 su ordinanza dell'amministrazione comunale capeggiata dal sindaco Felice Fiore.

Monumenti e luoghi di interesse[modifica | modifica wikitesto]

Il Duomo di San Corrado.
Panorama del porto e del Duomo.

Fra le bellezze naturalistiche da ammirare nella cittadina pugliese, è sicuramente il Pulo, sprofondamento carsico a pianta sub-circolare, con diametro variabile tra un minimo di 170 a un massimo di circa 180 metri, un perimetro che supera i 500 metri e una profondità intorno ai 30 metri nel punto di maggior dislivello. Sul bordo superiore sono stati ritrovati i resti di un villaggio neolitico: da questa località provengono reperti, soprattutto vasi e strumenti rudimentali neolitici (denominati "tipo Molfetta" e presenti in tutto il Mar Mediterraneo) e anche resti umani risalenti a età della pietra precedenti, e anche alla (successiva) età del bronzo.

Il nucleo antico detto "Isola di Sant'Andrea" forma il primo nucleo urbano attorno al III secolo ed è caratterizzato da una singolare pianta a spina di pesce: qui sorge il Duomo di San Corrado, la più grande chiesa a (tre) cupole in asse del romanico pugliese coronate da due torri campanarie, edificato tra XI e XII secolo. Sempre nel centro antico è situata la barocca Chiesa di San Pietro, eretta su una precedente chiesa romanica. Da notare le mura verso terra rimaste nel loro tracciato. Subito fuori dalle mura sorge la grandiosa Cattedrale intitolata all'Assunta, ex convento dei Gesuiti, dove sono poste le ossa del patrono della città San Corrado di Baviera, con busto in argento e oro di scuola napoletana. Di particolare attenzione è un grande quadro del celeberrimo Corrado Giaquinto, pittore molfettese del seicento, a cui è intitolata la Pinacoteca Provinciale di Bari.

Nei pressi della cattedrale sorge la "chiesa del Purgatorio", e, sempre lungo lo stesso asse viario del cosiddetto "borgo" (oggi Via Dante), ma più spostate verso la antica Porta principale del centro storico (quella che si apriva su Via Piazza) sono quelle dedicate alla Santissima Trinità, detta Sant'Anna e al protomartire Santo Stefano, luoghi di profonda religiosità in particolari periodi dell'anno. Poco più distante da queste, in direzione di uscita, verso Bisceglie, dalla Molfetta storica, sorge la chiesa di San Domenico, con annesso convento, oggi riadattato a contenitore culturale (biblioteca, museo e sala conferenze) col nome, ripreso dai documenti d'archivio, di "Fabbrica di San Domenico".

Altro luogo interessante è il cosiddetto "Calvario", un tempietto gotico in pietra calcarea, costruito nel 1856 su progetto dell'architetto De Judicibus. Esso si erge a tre livelli su pianta ottagonale, con ciascun piano coronato da una selva di cuspidi e pinnacoli. Alto 20 metri, possiede una guglia sommitale che desta ammirazione e lo rende unico per davvero rispetto agli altri tempietti ad analoga destinazione presenti nei comuni limitrofi, sia per la soluzione scenografica che per la sua leggiadria strutturale.

A circa 2 km dalla città, in direzione di Bisceglie si trova la basilica-santuario della Madonna dei Martiri. L'impianto attuale della chiesa insiste parzialmente sulla vecchia chiesa dell'XI secolo, di cui resta solo una cupola e la struttura sottostante, dove oggi sorge l'altare. Su un fianco della chiesa è addossato l'Ospedaletto dei Crociati, sempre dell'XI secolo, unico superstite dei due presenti nel complesso della Madonna dei Martiri dopo le ristrutturazioni ottocentesche.

A pochi Km dal Pulo si trova un importante geosito dove, nel 2005, Cesare Davide Andriani, allora studente di geologia all'Università di Bari, scoprì le prime orme di dinosauri. L'area è stata oggetto di studio da parte dei ricercatori della stessa Università e sarà destinata alle visite in futuro.

I luoghi di maggiore attrazione in occasione delle festività religiose sono il Duomo vecchio, il centro storico, la Cattedrale, la Basilica della Madonna dei Martiri, le chiese di San Pietro, del Purgatorio e di Santo Stefano, mentre mete di rilassanti e tonificanti passeggiate sono lo storico porto e infine il Pulo di Molfetta, dolina carsica al cui interno e nei cui pressi sono stati trovati, sin dai primi scavi condotti dal 1900 in poi, reperti archeologici che testimoniano di una presenza antropica risalente al neolitico.
Tali reperti sono raccolti nel Museo Archeologico del Pulo, che attende da tempo di essere aperto al pubblico, nella nuova sede dell'ex Lazzaretto.

Architetture religiose[modifica | modifica wikitesto]

Duomo di San Corrado[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Duomo di San Corrado.
Il Duomo di San Corrado, lato mare.
Facciata del Duomo di San Corrado.

Il Duomo di San Corrado, originariamente dedicato a Maria SS. Assunta in Cielo, è situato ai margini dell'antico borgo di Molfetta, di fronte al porto. Costruito fra il 1150 e la fine del Duecento, costituisce un singolare esempio dell'architettura romanico-pugliese. In origine il Duomo fu dedicato a Maria SS. Assunta e fu l'unica parrocchia esistente a Molfetta fino al 1671. Nel 1785 la sede della Cattedrale fu trasferita all'attuale Cattedrale di Maria SS. Assunta in Cielo e da allora il Duomo Vecchio prese il nome del patrono San Corrado.

Cattedrale di Santa Maria Assunta[modifica | modifica wikitesto]

Facciata della Cattedrale di Santa Maria Assunta.

La Cattedrale di Maria SS. Assunta, la cui maestosa facciata, ultimata nel 1744 dopo anni di lavori avviati nel periodo compreso tra aprile del 1610 e luglio del 1611 e proseguiti nel XVIII secolo, fu edificata unitamente al collegio dei Gesuiti.

Sulla facciata, in alto, è collocata una grande statua marmorea di Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Responsabili della costruzione dell'edificio furono i padri Gesuiti fino al 1773; successivamente fu sottoposta a lunghi restauri durante i quali fu ampliata l'abside, furono rifatti la pavimentazione, la sagrestia e il battistero e fu eretto il campanile.

Divenuta Cattedrale nel 1785, essendo ormai il Duomo di San Corrado divenuto insufficiente alle esigenze di culto dell'aumentata popolazione, in essa si conservano, in un'urna d'argento, le spoglie del patrono san Corrado di Baviera.

Fra le altre opere custodite nella Cattedrale ricordiamo la Dormitio Mariae attribuita allo Scacco (XVI secolo), il monumento sepolcrale del naturalista e storico molfettese Giuseppe Maria Giovene, posto a sinistra dell'altare dedicato a San Corrado e su questo la magnifica tela del Giaquinto raffigurante l'Assunzione della Madonna in cielo.

In uno degli Altari laterali della Cattedrale, si conservano, alla venerazione dei fedeli, la Mitria e il Pastorale appartenuti al Servo di Dio don Tonino Bello, in odore di Santità.

Basilica della Madonna dei Martiri[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Basilica della Madonna dei Martiri.
Basilica della Madonna dei Martiri.

La costruzione del nucleo primitivo della chiesa (corrispondente, nell'assetto odierno, alla sola area occupata dall'altare maggiore) ebbe inizio nel 1162. Tuttavia la chiesa attuale non coincide con quella originaria perché intorno al 1830 l'edificio sacro subì rilevanti modifiche.

La Chiesa, proclamata Basilica Pontificia Minore nel 1987, accoglie al suo interno pregevoli dipinti tra i quali encomiabile un'immagine della Madonna dei Martiri, trasportata dai Crociati nel 1188, particolarmente cara ai molfettesi, in special modo ai marinai.

Chiesa del Purgatorio[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa del Purgatorio, dedicata a Santa Maria Consolatrice degli Afflitti, fu edificata a partire dal 15 agosto 1643 per volontà del sacerdote Vespasiano Vulpicella, su un terreno comunale denominato "delli Torrionj", acquistato l'anno prima (22 agosto 1642). Costruita in pietra locale fino al 1655 e consacrata il 6 dicembre del 1667, presenta una magnifica facciata in stile tardo-rinascimentale, su cui si apre un unico portale di ingresso, fiancheggiato da quattro statue collocate in nicchie dei Santi: Pietro, Stefano, Paolo e Lorenzo. All'interno del tempio sono custodite tele di Bernardo Cavallino (XVII secolo) e di Corrado Giaquinto oltre che la statua dell'Addolorata (che viene recata in processione il venerdì di Passione) e le sei statue in cartapesta, tutte opere dello scultore cittadino Giulio Cozzoli, culminanti nello struggente gruppo della cosiddetta Pietà, che vanno in processione il Sabato Santo.
Questa chiesa, che esercita un fascino indiscutibile su gran parte della popolazione molfettese, è fatta oggetto di un culto intenso da devoti provenienti anche dagli stati esteri verso i quali sono emigrate molte famiglie nei tempi passati e la devozione si è tramandata di padre in figlio. Ciò è dovuto sicuramente al culto particolarmente partecipato che ispira la presenza delle statue dell'Addolorata e soprattutto della Pietà (ispirata da quella più famosa del Michelangelo) che è il fulcro della processione in cui culminano, il Sabato Santo, le celebrazioni della Settimana Santa, prima della Veglia Pasquale.

Questa chiesa ha la particolarità, non essendo una "parrocchia", che è l'unica nella quale possono essere celebrate le esequie di domenica, poiché nelle altre non si possono interrompere le funzioni domenicali.

Chiese minori[modifica | modifica wikitesto]

Suggestiva inquadratura del Duomo.
Chiesa della Santissima Trinità
La Chiesa della SS. Trinità è formata da un'unica navata ed è completata da un piccolo campanile a vela. Situata lungo il Corso Dante, accanto a quella dedicata a Santo Stefano, è meglio conosciuta come chiesa di Sant'Anna. Le prime notizie risalgono al 1154, epoca in cui apparteneva ai Padri Benedettini della Santissima Trinità di Venosa.
Chiesa del Sacro Cuore di Gesù
La Chiesa del Sacro Cuore fu edificata dall'architetto piemontese Giuseppe Momo sul suolo del vescovo molfettese Pasquale Gioia, il quale pose la prima pietra della chiesa nel 1926. Nell'anno successivo la chiesa fu aperta al culto e consacrata. Il robusto complesso ecclesiale, a tre navate, è accompagnato dal maestoso campanile in pietra con cuspide terminale, alto 41 m.
Chiesa di San Domenico
La costruzione della chiesa fu iniziata nel 1636 e ultimata dopo circa mezzo secolo. La consacrazione risale al 1699. La facciata principale, in stile barocco, è preceduta da un pronao con tre archi a tutto sesto; nelle nicchie laterali sono collocate le statue di Santa Caterina d'Alessandria e di Santa Maria Maddalena, protettrici dell'Ordine Domenicano. Nella chiesa sono conservati due pregevoli esempi di arte barocca locale tra cui una tela di Corrado Giaquinto (XVIII secolo) raffigurante la Madonna del Rosario.
Chiesa dell'Immacolata
La costruzione della Chiesa dell'Immacolata fu iniziata nel 1874 e successivamente i lavori, sospesi per mancanza di fondi, furono portati a termine grazie ai finanziamenti di munifici benefattori. La chiesa fu aperta al culto nel 1892 ed elevata a parrocchia nel 1895. L'interno, in stile neoclassico come la facciata, è diviso in tre navate da imponenti colonne di granito scuro sormontate da capitelli ionici. Il campanile, che si eleva maestoso alle spalle della chiesa, è alto 34 m ed è caratterizzato nella parte terminale da elementi ornamentali che ricordano lo stile barocco.
Chiesa di San Gennaro
La costruzione della chiesa, iniziata nel 1788, fu ultimata nel 1820 e la sua consacrazione avvenne il 17 giugno del successivo anno (1821). Fu la prima chiesa eretta extra moenia, cioè fuori della cinta muraria della città vecchia. Essa porta il nome del suo fondatore, Monsignor Gennaro Antonucci, che nel 1785 la elevò a parrocchia. Presenta una pianta a croce latina ed è comunemente denominata "la Parrocchia".
Chiesa di Santo Stefano
La Chiesa di Santo Stefano, le cui prime notizie risalgono al XIII secolo, fu ricostruita nel 1586. All'interno della chiesa sono conservati il dipinto raffigurante la Madonna con l'Arcangelo, il Tobiolo di Corrado Giaquinto, una statua lignea di San Liborio alta 1,60 m di autore sconosciuto del XVII secolo e la statua di Santo Stefano protomartire, in cartapesta, opera di Giulio Cozzoli. Nella chiesa inoltre sono custoditi i 5 Misteri che vengono portati in processione il Venerdì Santo.
Chiesa di San Bernardino da Siena
La Chiesa di San Bernardino è tra le più antiche di Molfetta. Essa fu edificata nel 1451 e restaurata e ampliata nel 1585 in seguito ai danni riportati durante il sacco di Molfetta del 1529. Fra le rilevanti testimonianze artistiche conservate nel suo interno si ricordano le tele "l'Adorazione dei pastori" e il "San Michele Arcangelo", realizzate nel periodo 1596-97, dal pittore fiammingo Gaspar Hovic e un Polittico della Visitazione realizzato, forse, da un anonimo maestro dei Santi Severino e Sossio (1483).

All'interno della Chiesa, si può ammirare la Cappella Passari, in pietra bianca leccese detta "pietra di seta" per la sua grande duttilità e fragilità. Recentemente restaurata, la Cappella Passari si sviluppa in altezza ed ha una struttura prospettica di grande impatto. Al suo interno, sono collocati due dipinti di Francesco Cozza: la Madonna del Cucito e la Fuga in Egitto.

Chiesa di Sant'Andrea Apostolo
La Chiesetta di Sant'Andrea, collocata in Via Piazza, nell'antico borgo, esisteva già nel 1126. Rifatta nel XVI secolo, come si deduce dalle iscrizioni poste sul cornicione esterno della facciata, nella chiesa si venera Sant'Antonio di Padova.
scorcio della facciata barocca e ingresso della Chiesa di San Pietro.
Chiesa di San Pietro
L'antichissima Chiesa di San Pietro Apostolo risale a epoca anteriore al 1174. Situata nella città vecchia, nel 1571, fu riedificata e ampliata con l'edificazione dell'annesso monastero di monache. Subì un primo restauro nel 1731, per riparare i danni subiti dal terremoto del 20 marzo del medesimo anno. Nel periodo 1750-56 fu ricostruita dalle fondamenta con una facciata barocca. Nell'interno della chiesa si custodisce la statua lignea di Maria SS. del Carmelo, opera dello scultore napoletano Giuseppe Verzella.
Chiesa del SS. Crocifisso o dei Padri Cappuccini
La chiesa, situata nell'attuale Piazza Margherita di Savoia, è attigua al monastero eretto a opera dei Padri Cappuccini. Il convento fu edificato nel periodo che va dal 1571 al 1575, seppur i lavori proseguirono sino al 1617. La chiesa alla data del 27 dicembre 1586(85) non era ancora stata completata. All'interno, sull'altare maggiore, si può ammirare un crocifisso in legno di scuola veneziana donato nel 1682 dal sacerdote don Francesco Antonio Cucumazzo (o Cucomazzo). Il Crocefisso ha per sfondo una pala d'altare rappresentante il Calvario. Alla base della tela, realizzata nel medesimo anno 1682 dal chierico-pittore bitontino Nicola Gliri (1634-1687), si trovano due stemmi gentilizi. Uno appartiene alla famiglia del committente/donatario. L'arma, infatti, rappresenta uno scudo diviso in due parti uguali: a destra è dipinto il blasone del padre, Giovanni Leonardo Cucumazzo di Ruvo; a sinistra quello della madre, C(hi)ara Donata di Simone Esperti.

Palazzo del Seminario[modifica | modifica wikitesto]

Lo scoppio del primo conflitto mondiale obbligò nel 1915 lo spostamento della sede del Seminario Regionale, fondato nel 1908 da Papa Pio X, da Lecce a Molfetta.
Dopo un ulteriore e breve spostamento di sede a Terlizzi, il Seminario Regionale fece ritorno a Molfetta nel 1918 nei locali del Seminario Vescovile, dove rimase fino al 1925. Tuttavia esigenze di spazi più ampi costrinsero a pensare a un edificio totalmente nuovo, per la cui progettazione ci si rivolse all'architetto Giuseppe Momo, da anni impegnato in quello specifico genere di costruzioni. I lavori, iniziati nel 1925, si protrassero per un anno e mezzo; l'inaugurazione del nuovo Seminario Regionale, intitolato a Pio XI avvenne il 4 novembre 1926.

Dotato di una facciata sobria e dignitosa, il Palazzo del Seminario Regionale presenta un interno molto spazioso, da cui si diparte un massiccio scalone centrale, lateralmente al quale si accede a un porticato che introduce in un chiostro delimitato da colonne di stile romanico. Al centro di questo è collocata una fontana in ferro fuso costituita da due vasche sovrapposte.
Il Seminario, in cui i giovani di tutta la Puglia vengono formati in vista dell'Ordine sacro del presbiterato, ospita al suo interno, dal 1957, anche una biblioteca e una ricca raccolta museale.

Architetture civili[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo Giovene[modifica | modifica wikitesto]

Entrata al Palazzo Giovene.

Palazzo Giovene, cinquecentesco edificio oggi sede dell'amministrazione comunale. Edificato dalla famiglia "de Luca" passò poi al casato degli "Esperti" che nel 1772 lo cedette ai "Giovene".
La facciata rinascimentale è caratterizzata da un importante portale costituito da una struttura in bassorilievo, munita di architrave, con effetto di "trompe l'oeil", terminante alla quota del marcadavanzale del piano superiore, con il portone inserito in un arco a tutto sesto; questo è incorniciato, lateralmente, da due piedistalli che reggono due colonne ioniche, sopra i quali si distinguono la statua di un guerriero e quella di un musico, rispettivamente alla destra e alla sinistra di chi entra.
Nel XIX secolo era stato dotato di un terzo piano fuori terra che costituì una delle principali cause del dissesto strutturale che lo rese inutilizzabile per buona parte del XX secolo. Tale inutile, anzi dannosa, sopraelevazione fu demolita nel 1965, quindi il palazzo ha subito profondi interventi di restauro tra il 1976 e il 1981.
Il palazzo ospita, oltre la sede del Consiglio Comunale, anche, nel piano interrato, una Galleria di Arte Contemporanea dove sono conservate opere di importanti artisti locali, e al piano terra la sala stampa annessa alla "sala Giunta", nonché una collezione di modelli in scala medio-grande dei più caratteristici mezzi da trasporto trainati da cavalli che erano tipici del territorio prima della diffusione dell'automobile e dei mezzi consimili, oltre all'Ufficio per le Relazioni col Pubblico.
Nella sala del Consiglio hanno trovato posto, lungo le pareti, i ritratti della Galleria degli Uomini illustri Molfettesi che prima del restauro di questo edificio erano esposti, stretti uno accanto all'altro, alla quota di imposta della volta a padiglione nella sala degli specchi del vecchio palazzo del Municipio, all'isolato accanto a questa ultima sede.

Palazzo Cavalletti[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Palazzo Cavalletti.

Palazzo Cavalletti sorge a Molfetta, in piazza Vittorio Emanuele II, intitolata al Re alla fine del secolo scorso, in seguito all’ avvenuta Unità d'Italia, e dove tutt’ ora fa mostra di sé il monumento dell’ antico sovrano. Oggi la zona è centrale nell’ insediamento molfettese, mentre alla fine del ‘700, epoca a cui risale il palazzo, costituiva la zona di nuova espansione della città, tanto che nel 1790 venne sistemata la strada nuova che andava dal Pozzo dei Cani al palazzo Cavalletti. Quest'opera si rese necessaria perché nel 1789 erano stati completati i lavori di costruzione della Strada Consolare di Puglia (poi S.S. 16), da Bisceglie a Molfetta.

Le Torri di avvistamento[modifica | modifica wikitesto]

Di grande rilevanza storica, culturale ed economica dell'hinterland molfettese, sono state nel Medioevo e all'incirca fino al XVIII secolo le torri disseminate nel territorio rurale di Molfetta e raggruppate lungo tre immaginarie direttrici che sono Molfetta-Bitonto, Molfetta-Terlizzi e Molfetta-Ruvo-Corato.

Verso Bisceglie e in prossimità del confine con il suo territorio, si erge a picco sul mare (su uno spuntone di costa rocciosa oggi in erosione) l'unica torre di avvistamento chiamata, sin dal 1569, "Torre Calderina" o "Torre del Porto di San Giacomo", torre costiera del XVI secolo, particolarmente importante in quanto posizionata in un luogo strategico poiché da essa era possibile il collegamento visivo con il Castel del Monte e quindi comunicare per tempo anche agli abitati non rivieraschi più interni (verso Andria e oltre ancora, sino all'altopiano murgiano) il sopraggiungere di eventuali incursioni dal mare. Essa faceva parte del complesso sistema di torri di avvistamento del Regno di Napoli. La sua posizione permetteva la difesa del porto di San Giacomo, approdo medievale di Molfetta. Oggi, questa torre si trova al centro dell'omonima area protetta, proposta come SIC (cioè Sito di Importanza Comunitaria) dalla Unione europea. Sulla SS. 16 è collocata la struttura conosciuta con il nome di "Torre della Cera", realizzata nel 1770 per conto del nobile Pietro Gadaleta alias "della Cera" (nonno materno di Pietro Colletti, poi Colletta). Altre strutture adibite a posti di osservazione (avvistamento), inserite nel tessuto urbano, erano: una delle due torri del Duomo (Vecchia Cattedrale) e il Torrione detto "del mare che passa", noto come Torrione Passari. Il Torrione Passari, in realtà, era un elemento della cintura difensiva della città.

Le torri dell'agro rurale, utilizzate per villeggiatura o per supporto delle attività agricole, erano caratterizzate da arredo di tipo difensivo (es.: la presenza di caditoie). Delle oltre venticinque strutture ricordiamo Torre Gavetone, situata presso il confine con Giovinazzo, di essa resta solo il toponimo che indica una delle più apprezzate spiagge libere superstiti lungo la costa molfettese. Sulla stessa direttrice, ma in posizione arretrata verso l'interno si trova Torre Rotonda della Molinara (1538) il cui nome deriva da Antonio e Bartolomeo, padre e figlio de Molinario, che possedevano un fondo rurale in contrada Venere (prossima al confine con Giovinazzo). Sulla via per Bitonto incontriamo la torre dell'antica chiesa della Madonna della Rosa. Lungo l'asse viario del Mino abbiamo: Torre Cicaloria, il cui nome deriva dal nome e cognome di uno dei suoi proprietari Francesco (Cicco) Loria di Ruvo; Torre Panunzio che coincide con l'antica struttura chiamata Torre di don Marcello Passari (1556); Torre Cascione, nome derivato da quello di un proprietario di un fondo rurale prossimo alla torre, tale Joan Francesco de Urbano alias de mastro Leonardo Pappagallo soprannominato Cascione; Torre del Mino, edificata verosimilmente nel periodo 1561-72; Villafranca (in territorio di Terlizzi), risalente al 1631 e il cui nome indica il riscatto dalla tassa catastale detta "bonatenenza". Per ultima l'ormai diroccata Torre dell'Alfiere, nome derivato dal titolo militare di uno dei suoi proprietari ovvero l'alfiere Francesco Paolo Tottola.

Leggermente più spostate a ovest verso la direttrice per Terlizzi della strada Santa Lucia s'incontrano: Torre del Gallo, nome derivato dal soprannome della famiglia "de la Sparatella" che la fece edificare, forse, connesso o alla nazione di provenienza (Francia) della famiglia o a un semplice agnome; Torre Villotta, struttura già esistente agli inizi del Quattrocento; Torre Falcone, nome derivato dalla famiglia de Falconibus, originaria di Andria; Cappavecchia registrata sin dal 1526, epoca in cui apparteneva alla famiglia de Vulpicellis; Torre Sgammirra, quest'ultima cosiddetta dal soprannome del suo primo proprietario, Antonio di Nicola de Tamburro alias Scambirro (= asino). Di essa non rimane che il rudere costituito da un'intera parete rimasta in piedi e sostenuta lateralmente dai soli monconi angolari.

A ponente, lungo l'asse della strada comunale Coppe (antica strada per Corato), troviamo i resti di Chiuso della Torre, che dà il nome alla omonima contrada, inglobati tra i capannoni industriali della zona ASI (Area Sviluppo Industriale); il Casale, ristrutturato nel 1719 dalla famiglia Passari sul sito dove sorgeva l'antico Casale di San Primo (ottobre 1135); Torre di Claps, con annessa chiesa di San Martino (1083), donata nel 1731 alla famiglia Claps (originaria di Potenza). In prossimità della direttrice della vicinale di Fondo Favale, si ergono: Torre del Capitano, nome derivato dal titolo militare del proprietario (nel periodo 1781-84) ossia dal capitano Vincenzo Brayda. Questa torre è collocata in prossimità del tracciato autostradale della A14. Altre strutture di questo versante sono: Torre di Pettine, nome derivato dal soprannome di Giuseppe Fontana alias Pettine, figlio del maestro sartore Tommaso Fontana; la masseria fortificata denominata Casale Navarrino o Torre di Navarino, nei pressi del confine sud-occidentale dell'agro, alla confluenza con i territori dei comuni di Terlizzi e Bisceglie. Questa torre, il cui primo nucleo risale alla metà del XVI secolo e che fu ampliata nel 1598 da Cesare Gadaleta, prende il nome della contrada in cui è collocata. Il toponimo "Navarino", quasi certamente, ricorda la regione Navarra della Spagna della quale, forse, doveva essere oriundo don Ferrando Briones Yspanus, marito di Costanza Gadaleta, proprietario di un fondo rurale ubicato in questa zona.

Piazze e strade[modifica | modifica wikitesto]

Villa comunale Giuseppe Garibaldi.

Uno dei luoghi più frequentati del centro cittadino è l'ampia Piazza Garibaldi, riaperta al pubblico nel 2007 dopo un restauro durato parecchi anni. Di forma sub-trapezoidale, è connotata da un variegato connubio di vegetazione e di percorsi pedonali e zone riservate ai bambini, con numerose specie arboree che forniscono un confortante sfondo verde all'attivo, caotico e spesso congestionato centro cittadino. Il lato meridionale della piazza è sottolineato dall'ottocentesca edicola in stile gotico del Calvario con alle spalle la antica Chiesa di San Bernardino, risalente al 1451, mentre a ponente essa è chiusa dal monumentale prospetto ottocentesco (opera, così come il già citato Calvario, dell'Architetto De Judicibus molto attivo a Molfetta nel XIX secolo) del settecentesco Seminario Vescovile adiacente alla coeva Cattedrale. Da non dimenticare, al centro della Villa Comunale, lo splendido Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, opera mirabile del celebre scultore cittadino Giulio Cozzoli, costituito da un gruppo bronzeo che rappresenta la Vittoria Alata nell'atto di sorreggere un fante caduto sul campo di battaglia, che si erge su un basamento in marmo sui cui prospetti laterali e posteriore sono inseriti i bassorilievi bronzei che recano scolpite scene di guerra con protagoniste le diverse forze armate che presero parte a quel conflitto.

Altre piazze di Molfetta sono: Piazza Vittorio Emanuele II, Piazza Margherita di Savoia, Piazza Aldo Moro (già Piazza Stazione), Piazza Principe di Napoli e Piazza delle Erbe (già sedi di storici mercati rionali smantellati nel primo lustro del Terzo Millennio), Piazza Roma, Piazza Paradiso, Piazzetta San Michele, Piazza Immacolata, Piazza Mentana e le minori Largo S.Angelo e Largo Domenico Picca nel nucleo sei-settecentesco della città; Piazzetta Giovene, Piazza Baccarini, Largo Fornari nelle espansioni di fine ottocento - prima metà del novecento e, nelle zone di più recente urbanizzazione (anni settanta - ottanta): Piazza 1º maggio, Piazza Gramsci (sede di un mercato rionale).

Le principali strade cittadine sono Corso Umberto I, l'isola pedonale, meta privilegiata dello shopping cittadino e dello struscio domenicale assieme al Corso Dante (già Borgo) e a tutta l'area circostante il porto (le "Banchine" San Domenico e "Seminario", nonché, soprattutto nelle belle giornate, i bracci stessi del porto, in particolare dalla Capitaneria (sede della Guardia Costiera) al faro e, sul lato prospiciente il Santuario della Madonna dei Martiri, il molo Pennello) e poi Corso Margherita di Savoia], via Sergio Pansini, via Roma, via Baccarini, via Tenente Fiorino, via De Luca, via Massimo D'Azeglio, via Galileo Galilei, corso Fornar' e il lungomare Marcantonio Colonna, da cui si può ammirare il panorama sul mare verso Giovinazzo e uno dei più suggestivi scorci del centro storico, vale a dire il suo prospetto a picco sul mare chiuso dalla tondeggiante sagoma del torrione Passari. Altre vie nodali della città sono: via Madonna dei Martiri, via G. Mameli, via Guglielmo Marconi, via Felice Cavallotti, via Alessandro Volta, via Bari, via Domenico Picca, via Annunziata, via Paniscotti, viale Pio XI], viale Don Minzoni, viale Martiri della Resistenza.

Il Pulo[modifica | modifica wikitesto]

Di particolare interesse è a Molfetta il cosiddetto Pulo, grande sprofondamento di origine carsica localizzato a non più di due chilometri dal centro urbano di Molfetta.

A seguito del terremoto in Irpinia, del 23 novembre del 1980, la cavità carsica appena fuori l'abitato, e che da diversi anni veniva utilizzato nel periodo natalizio come cornice scenografica per la messa in scena del locale "presepio vivente", fu dichiarata inagibile e chiusa alla pubblica fruizione per motivi di sicurezza. Finalmente nel 1995 si sono potuti iniziare i lavori di recupero culminati con la restituzione al pubblico delle fabbriche della nitriera borbonica.

Elementi di archeologia industriale sul fondo e su un fianco del Pulo di Molfetta.

Con il termine Pulo si indicano generalmente doline carsiche di grandi dimensioni, generalmente munite di almeno un inghiottitoio, che può essere palese o occulto.

In particolare il Pulo di Molfetta si differenzia dagli altri per essere una dolina a pozzo a causa delle pareti strapiombanti su praticamente tutto il contorno, e di crollo, in relazione al fatto di essersi originata dal collasso o della volta di un'unica grande grotta sotterranea[3] o, come più probabile, di più cunicoli e cavità facenti parte di più pozzi carsici contigui (detti polje), con crolli che si sono succeduti scaglionandosi nel tempo.

Le pareti del Pulo sono costellate da numerose grotte, che si sviluppano anche su più livelli (fino a quattro come nella "grotta del Pilastro"), e cunicoli spesso intercomunicanti che denotano l'intensa attività carsica di cui sono state protagoniste insieme al potente acquifero di cui verosimilmente facevano parte.

In tutte le cavità, però, essendo assente lo stillicidio delle acque, non si rinvengono formazioni di stalattiti e stalagmiti.

Il salnitro che si rinviene nelle grotte sotto forma di incrostazioni ed efflorescenze biancastre, che rivestono vaste superfici all'interno delle stesse, ne fece per pochi decenni, tra il 1785 e i primi del XIX secolo, una miniera di questo materiale che le contemporanee ricerche nel mondo della Chimica degli Elementi avevano individuato come componente essenziale della polvere da sparo. Pertanto, su Regio decreto del sovrano Borbone dell'epoca, fu autorizzata la costruzione "in loco" di una nitriera, cioè di una fabbrica di polvere da sparo, proprio a pochi passi dal luogo di estrazione, poiché era particolarmente idoneo sia per motivi di sicurezza delle lavorazioni (lontano dal centro abitato), sia per motivi militari, essendo il sito sufficientemente occultato alla vista dei più.
A causa dell'interesse militare del sito, al suo ingresso fu costruito un "Corpo di Guardia" dove alloggiava il personale posto a sentinella delle attività estrattive che vi si svolgevano.

Il Pulo inoltre è caratterizzato da vegetazione spontanea comune nel territorio accanto a specie esclusive di questo habitat, secondo classificazioni avvenute in tempi diversi a opera di vari studiosi, tra cui il botanico molfettese G. Muscati e in tempi più recenti dalla dott.ssa Lucia Camporeale che nel suo lavoro di tesi (1953) individuò nel Pulo 136 diverse specie vegetali spontanee, tra cui la rara Micromeria nervosa. Tra queste, si trovano piante introdotte dall'uomo nel corso dei millenni, sia alberi (fichi, fichi d'India, nespoli, azzeruoli, ecc.) che specie erbacee aromatiche (melissa, camedrio bianco, mente varie) accanto ad alberi e cespugli tipici della macchia mediterranea (lentisco, biancospino, alloro, melograno, viburno, carrubo, ecc.).


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