Jesi
comune
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Localizzazione
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Stato
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Italia
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Regione
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Marche
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Provincia
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Ancona
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Amministrazione
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Sindaco
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Massimo Bacci (lista civica) dal 21-5-2012
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Territorio
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Coordinate
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43°31′22.04″N 13°14′38.22″E / 43.522789°N 13.24395°E43.522789;
13.24395 (Jesi)Coordinate: 43°31′22.04″N 13°14′38.22″E / 43.522789°N 13.24395°E43.522789;
13.24395 (Jesi) (Mappa)
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Altitudine
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97 m s.l.m.
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Superficie
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107,73 km²
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Abitanti
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40 325[2] (31-5-2015)
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Densità
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374,32 ab./km²
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Frazioni
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Castelrosino, Mazzangrugno, Pantiere di Jesi, Piandelmedico, Santa Lucia, Tabano[1]
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Comuni confinanti
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Agugliano, Camerata Picena, Castelbellino, Chiaravalle,
Cingoli (MC), Filottrano, Maiolati
Spontini, Monsano, Monte Roberto, Monte San
Vito, Polverigi, San Marcello, San Paolo
di Jesi, Santa Maria Nuova, Staffolo
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Altre informazioni
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Cod. postale
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60035
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Prefisso
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0731
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Fuso orario
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UTC+1
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Codice ISTAT
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042021
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Cod. catastale
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E388
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Targa
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AN
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Cl. sismica
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zona 2 (sismicità media)
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Cl. climatica
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zona D, 1 899 GG[3]
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Nome abitanti
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jesini, esini
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Patrono
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san Settimio
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Giorno festivo
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22 settembre
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Cartografia
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Posizione del comune di Jesi nella provincia di Ancona
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Sito istituzionale
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Jesi è un comune italiano di 40 325 abitanti[2] della provincia di Ancona, nelle Marche.
Posizionato lungo il medio corso del fiume Esino, è il centro più importante dell'intera Vallesina,
un bacino demografico di 120 000 abitanti circa.
Insieme ai Castelli di Jesi (comuni di Belvedere Ostrense, Castelbellino,
Castelplanio, Cupramontana, Maiolati Spontini,
Mergo, Monsano, Montecarotto, Monte Roberto, Morro d'Alba, Poggio San Marcello, Rosora, San Marcello, San Paolo di Jesi, Santa Maria
Nuova, Serra de' Conti, Serra San Quirico, Staffolo) fa parte di un'area
di circa 93 000 abitanti.
È una città di antiche e importanti tradizioni industriali che le sono valse, sin dalla fine dell'Ottocento, l'appellativo di "Milano delle Marche".[4] A testimonianza del suo glorioso
passato storico, che nel XII secolo l'ha vista anche piccola capitale della Respublica Aesina,
conserva un centro storico con interessanti monumenti, ancora circondato da una cinta muraria del XV secolo
pressoché intatta. Sin dall'epoca medievale è uno dei centri più importanti e attivi della regione. È la terza maggiore città della provincia di Ancona dopo il capoluogo e Senigallia.
Jesi è situata nella bassa valle del fiume Esino, su un poggio poco rilevato (97 m s.l.m.), e il suo territorio si estende su una superficie di
107 km².
Nonostante la relativa vicinanza del mare, Jesi presenta un clima con influenze continentali. Gli inverni sono moderatamente freddi e umidi, a volte nevosi. Tra le nevicate maggiori degli
ultimi 20 anni, si ricordano quelle del dicembre 1996, del gennaio 2005 e del febbraio 2012 (in tutti i casi il manto nevoso ha superato i 50 cm e addirittura si è portato intorno al
metro di altezza nell'ultimo episodio citato). Le minime, a seguito delle ondate di gelo maggiori, possono precipitare fin sotto i -10 °C / -15 °C. Le estati sono molto
calde e spesso afose, caratterizzate da scarsa ventilazione. I temporali non sono rari e in qualche caso violenti, con rovinose grandinate ed occasionali trombe d'aria (come quella che
nell'estate del 2014 ha causato ingenti danni alla periferia ovest della città). Durante le ondate di caldo africano i termometri si portano facilmente sui +35 °C / +40 °C
e addirittura nel 2003 si registrarono picchi record di +43 °C. Le temperature più elevate si hanno comunque quando spira il Garbino, vento di caduta dall'Appennino, assai caldo e
secco. Le stagioni mediane sono in genere miti e piacevoli, sebbene possano rivelarsi molto piovose (con eventi alluvionali che interessano il corso del fiume Esino). La nebbia è comune
sia nella stagione autunnale che in quella invernale.
La leggenda narra che Jesi venne fondata da Esio, re dei Pelasgi, qui giunto direttamente dalla Grecia nel 768 a.C. e che donò il simbolo di un leone rampante al blasone cittadino, come si legge anche su un'iscrizione
presente sotto l'edicola recante lo stemma cittadino sulla facciata del Palazzo della Signoria. Questo mitologico sovrano fu considerato il capostipite degli Etruschi, dei Sabini e dei Piceni. La leggenda, che si è protratta nei secoli, sembra sia all'origine della storica denominazione di Jesi come "Città Regia".
Verosimilmente invece Jesi fu fondata dai Galli Senoni i quali stabilirono sulle rive dell'Esino il loro ultimo avamposto in quel territorio che poi venne successivamente identificato dai
romani come "Ager Gallicus" e dedicarono la città a Eso il Dio Toro Celtico. Jesi Celtica aveva una grande importanza strategica perché situata sul fiume a pochi chilometri dalla costa e
sulla valle dell'Esino via di accesso attraverso la Gola della Rossa ai territori degli Umbri.
Cartina dei domini celtici in Italia.
Storicamente Jesi ha origini molto antiche; si ritiene infatti che sia stata fondata dagli Umbri come loro ultimo
avamposto in territorio piceno.
Nel IV secolo a.C. i Galli Sénoni, popolazione celtica calata dal nord e così chiamata dalla loro città di provenienza (l'odierna Sens in Francia), scacciarono gli Umbri e si stanziarono sulla costa orientale dell'Italia, da Rimini ad Ancona, in quello che venne poi denominato
Ager Gallicus. Vi fondarono Sena Gallica (Senigallia), che divenne la loro capitale,
stabilirono il confine meridionale del loro dominio sul fiume Esino e, come già gli Umbri, fecero di
Jesi l'ultima roccaforte di difesa contro i Piceni.[5]
Cartina della
Regio V Picenum e
VI Umbria.
Per oltre un secolo si verificarono molti scontri fra i Galli Sénoni e i Romani finché, a
seguito della battaglia del Sentino del 295 a.C., Roma sconfisse definitivamente i popoli italici e nel 283 a.C. i Galli Sénoni furono debellati e quindi sottomessi.
I Romani stabilirono nel tempo numerose colonie; Jesi nel 247 a.C. venne trasformata nella colonia civium romanorum di Aesis e incorporata nella Regio VI Umbria. Nacque così il municipium di Aesis con una
struttura urbanistica corrispondente al modello del castrum, modello sostanzialmente rimasto intatto. I
Romani costruirono anche un'importante via di comunicazione, la Via Salaria Gallica, che
passando proprio per Jesi (la quale sembra sia stato un importante centro per il pagamento del dazio fra la V e la VI Regio) collegava la Via Flaminia alla Via Salaria.
La continuità demica da allora, nonostante il susseguirsi delle invasioni, non fu più interrotta. In epoca romana Cupramontana e Planina furono i
due centri vicini e rivali di Aesis, ma a differenza di quest'ultima non sopravvissero ai saccheggi e alle distruzioni barbariche.
Con la caduta dell'Impero Romano
d'Occidente nel 476 d.C. ad opera delle truppe di Odoacre, Jesi, venne devastata dagli stessi. Qualche anno dopo, nel 493, con la conquista dell'Italia da parte degli Ostrogoti di
Teodorico fu distrutta nuovamente. Nel 554 gli Ostrogoti furono scacciati dall'Italia da parte dei Bizantini e così anche Jesi, che poi venne inclusa, con la parte settentrionale delle Marche e la parte meridionale della Romagna, in uno dei sette
distretti militari dell'Esarcato di Ravenna, la Pentapoli, costituita nel 585
dall'imperatore Maurizio I. In seguito i Bizantini la eressero a uno dei centri principali
della nuova "Pentapoli annonaria" (insieme a Gubbio, Urbino, Cagli e Fossombrone), costituita in contrapposizione a quella "Marittima" (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona), per un maggiore controllo e difesa del territorio interno della regione. Un ulteriore riconoscimento per Jesi fu l'elevazione a
diocesi, come conferma la menzione di un suo vescovo già nel 680.
Dal 728 i Longobardi ripresero le
invasioni verso le Pentapoli quando infine nel 751, guidati dal re Astolfo conquistarono l'Esarcato e devastarono Jesi. In seguito alle invasioni dei Franchi del 752-754, il loro re Pipino il Breve, conquistò i
territori del vecchio esarcato nel 754, e con l'accordo papale della Promissio Carisiaca li donò all'autorità di papa Stefano II Orsini, creando lo Stato della Chiesa e dando quindi inizio al potere temporale dei Papi. A partire dall'VIII secolo l'azione dei monaci benedettini diede vita, nella valle dell'Esino, ad innumerevoli abbazie. Ma la dominazione
papale portò a una crisi finanziaria, sociale e culturale che spesso sfociò in varie sanguinose rivolte, che talvolta miravano a riportare il dominio dei Longobardi. Solo nel 773 l'esercito dei Franchi di Carlo Magno
debellò definitivamente i Longobardi. Ma le rivolte continuarono frequenti, tanto che con l'incoronazione, di Carlo Magno a imperatore il 25 dicembre 800, Jesi, pur appartenendo alla Chiesa,
ricade sotto la giurisdizione imperiale ed entra a far parte della nuova contea della Marca. A partire da questo periodo prende forma la struttura feudale della città. Nel 999 l'imperatore Ottone III
riconsegna alla Chiesa di papa Silvestro II otto contee, tra cui quella di Jesi. Sull'esteso
territorio di Jesi sorgevano ben 29 abbazie camaldolesi e benedettine insieme a numerosi possedimenti dei conti di Jesi (gli Attoni, di stirpe longobarda) e quelli di altri piccoli
centri. In questo modo Jesi perde ogni autonomia.
Cominciarono nuovamente[quando?] le
furenti lotte di ribellione delle città più importanti delle Marche intere contro il dominio pontificio. Le lotte erano così numerose e insistenti che il papa dichiarò, in una bolla, le "Marche" una regione ingovernabile. Nel 1130 Jesi si erse a Libero Comune con un
proprio governo autonomo, podestà, consoli e
scuole di arti e mestieri. Questo fu il periodo d'oro della città, in cui si elaborarono gli statuti, si costruirono i palazzi del Podestà, del Comune e la Cattedrale intitolata a San
Settimio e si fortificarono le mura sul tracciato di quelle d'epoca romana.
Durante il XII secolo e quelli successivi nobiltà locale, artigiani e commercianti s'allearono fondando la
cosiddetta Respublica Aesina e cominciarono la conquista del Contado, che sottrassero ai grandi feudatari
laici ed ecclesiastici, più conosciuti come Castelli di Jesi. Questa espansione territoriale
creò scontri furiosi con i vicini più potenti, fra i primi la repubblica di Ancona,
con la quale si susseguirono lunghe e dure lotte per il possesso della valle dell'Esino nel tratto che va da Chiaravalle al mare.
Il 26 dicembre 1194 nacque, in una tenda imperiale nella piazza centrale della città, l'antico Foro romano,
l'imperatore Federico II, che donerà a Jesi il titolo di "Città Regia" che sanciva importanti diritti di piena autonomia, ampi privilegi sul dominio
del Contado e libertà comunali che la Chiesa, con il suo alterno dominio, poté più abrogare. Jesi passò così definitivamente alla fazione ghibellina e le sue fortune politiche saranno legate per anni a quelle di Federico II e dei suoi figli Enzo e Manfredi con
l'ottenimento di privilegi imperiali seguiti da inevitabili scomuniche ecclesiastiche.
Con la nomina nel 1353 del cardinale Egidio Albornoz a Vicario generale
dei domini della Chiesa in Italia, si cercò di ricondurre tutti i comuni e le signorie sotto il controllo, diretto o indiretto, dell'autorità papale e furono emanate le Costituzioni egidiane che regolavano lo Stato della Chiesa. Tra il 1373 e l'inizio del XV secolo diverse lotte per il potere
sconvolgono la regione, portando distruzione e miseria per la popolazione. Nonostante la caduta sotto il dominio papale della Romagna e di Ancona, Jesi, grazie ai privilegi imperiali,
riuscì a mantenere l'autonomia della sua piccola Repubblica. Tuttavia in seguito Jesi fu occupata dal vicario pontificio Filippo Simonetti, da Galeotto I Malatesta nel 1347-1351, da Braccio da Montone nel 1408, e da Francesco Sforza, di
cui divenne un autentico caposaldo, tanto che nel dicembre 1433 Francesco Sforza invase il territorio marchigiano
partendo proprio da Jesi. È solo nel 1447 che la Chiesa riuscì a riprendere il controllo, comprando la città.
Nel 1447 tornò definitivamente sotto il dominio dello Stato pontificio, pur riuscendo a mantenere qualche diritto sui territori del Contado grazie ai titoli ricevuti da Federico II secoli
prima. Intorno al 1470 si diffuse nella Marca d'Ancona una grave pestilenza che decimò la popolazione e dal 1471 ricominciò il ripopolamento della zona con genti provenienti dall'Emilia e dalla Lombardia: numerosi sono i luoghi a
loro intitolati, come via dei Lombardi, Costa dei Lombardi, via Fiorenzuola.
La fine del periodo signorile, la fine della peste e la ricomposizione dell'assetto comunale donarono un certo equilibrio stabile e avviarono dapprima una grande ripresa economica,
demografica e soprattutto edilizia della città. A partire dalla seconda metà del Quattrocento si modificò profondamente il volto architettonico della città con la costruzione di nuove
chiese e palazzi e la progressiva espansione urbanistica fuori dalla cerchia delle vecchie mura. Sono di questo periodo il rafforzamento del sistema difensivo cittadino ad opera del
fiorentino Baccio Pontelli, la costruzione su progetto del senese Francesco di Giorgio Martini del Palazzo della Signoria, uno dei più bei
palazzi monumentali della Marca. Accanto alla rinascita edilizia ed economica c'è quella culturale: il pittore veneziano Lorenzo Lotto realizza per alcune chiese della città capolavori assoluti; Federico Conti da Verona stampa a Jesi nel 1472, una delle primissime edizioni a stampa della Divina Commedia e Ciccolino di Lucagnolo, cesellatore raffinato e maestro di Benvenuto Cellini sviluppa e perfeziona l'arte orafa. Verso la fine del Cinquecento l'oligarchia locale, costituitasi ormai
solidamente in ceto di proprietari terrieri, rivendica a sé tutto il potere politico e amministrativo, potere che mantiene fino alla fine del Settecento.
Due sono i riferimenti storici più significativi da segnalare per il secolo XVIII: la trasformazione architettonica e urbanistica della città e la nascita di Giambattista Pergolesi e Gaspare Spontini, due grandi personalità nel campo della musica che si affermarono in tutta Europa.
Nel 1797 le truppe napoleoniche posero fine all'antico regime, ma anche al dominio sul Contado.
Nel 1808 con l'annessione delle Marche al
Regno Napoleonico, nella cosiddetta Repubblica romana, Jesi diviene uno dei capoluoghi di distretto del Dipartimento del Metauro. Con la caduta di Napoleone a Waterloo e la successiva Restaurazione del 1815, Jesi ritornò di
nuovo sotto i papi, ma cominciò a prendere forma una concezione laica e borghese dello Stato. Nei primi decenni dell'Ottocento si iniziò a Jesi un graduale processo di industrializzazione con la nascita delle prime manifatture per la seta. Le vicende risorgimentali
che condurranno all'unità d'Italia coinvolsero diversi personaggi jesini tra cui il marchese Antonio
Colocci, eletto nel 1849 quale rappresentante della Provincia di Ancona all'Assemblea Costituente della
Repubblica romana e poi, dopo l'Unità, deputato e senatore del Regno.
Il 15 settembre 1860 i bersaglieri
e il reggimento Lancieri di Milano entrarono a Jesi mentre cinque giorni più tardi, nella vicina Castelfidardo, le truppe piemontesi guidate dal generale Cialdini sconfissero l'esercito papale nella Battaglia di Castelfidardo, cui seguì il plebiscito che sancì la definitiva unione delle città al Regno d'Italia.
Fu una delle prime città italiane a istituire una tipografia. Nel 1969 è stata sede d'un Convegno Urbanologico Internazionale promosso dall'UNESCO, che l'ha segnalata come "città esemplare" per l'integrazione architettonica dei suoi vari strati storici.[6] Dal 1996
in città si svolge il Palio di San Floriano, manifestazione medioevale che prevede
la partecipazione di tutte le città limitrofe e dei castelli jesini. Nel 2014 Jesi è riconosciuta come Città Europea dello Sport.
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Mura di Jesi. La cinta fortificata, tra le meglio conservate dell'intera regione, racchiude il
nucleo medievale della città, di compatta forma trapezoidale, per un perimetro di circa 1,5 km. Vennero erette nel XIV secolo sul tracciato delle più antiche mura romane, rappresentando il simbolo della libertà Comunale. Nel XV secolo vennero quasi totalmente ricostruite (fa eccezione la parte detta del "Montirozzo") ad opera dei famosi
architetti militari Baccio Pontelli e Francesco di Giorgio Martini. Sono costituite da alti muraglioni cortinati con beccatelli, rinforzati da
torrioni e aperte da sette porte (oggi ne restano aperte solo quattro). La conformazione delle mura varia in
rapporto alla morfologia del terreno che presenta livelli di quota differenziati, dalla pianura (66 m s.l.m.) alla collina (96 m s.l.m.).
Le mura della parte meridionale, racchiuse tra il Torrione Rotondo e il Torrione di Mezzogiorno (costruito nel 1454), erano fiancheggiate da un fossato, oggi interrato, e si presentano "basse", caratterizzate da semplici cortine verticali con
beccatelli e caditoie. Si fanno più alte e imponenti sul versante orientale, poste sui pendii, che hanno cortine rafforzate con scarpata per una maggior difesa contro le armi da
fuoco. Sulla parte più alta, quella nord-occidentale, che si apriva sul prolungamento della città "nuova", la cosiddetta "Addizione di Terravecchia", sorgeva la Rocca Pontelliana,
eretta su progetto di Baccio Pontelli, appunto, a partire dal 1487 e già demolita nel 1527, l'ultimo torrione (di fianco l'Arco del Magistrato) venne smantellato nel 1890.
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Palazzo della Signoria. Uno dei più imponenti palazzi pubblici
delle Marche, fu costruito tra il 1486 e il 1498 dal celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini.
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Palazzo Colocci. Antica residenza gentilizia dei marchesi Colocci, presenta una facciata
lineare in laterizio e portale bugnato che dà accesso ad un ampio e scenografico scalone, sorretto da colonne, forse su disegno del Vanvitelli. Così come appare oggi, il palazzo è la
risultante di una serie di interventi realizzati nei secoli XVI e XVII. La trasformazione settecentesca ha occultato la fisionomia rinascimentale dell'edificio, ricostruibile soltanto
da qualche fonte d'archivio. Il piano nobile conserva bei soffitti a padiglione, notevole quello del salone delle feste decorato da affreschi illusionistici. Di antichissima origine,
la famiglia Colocci discende dalla gens Actonia di stirpe longobarda, stanziatasi nella valle dell'Esino intorno all'anno Mille. Una delle figure di maggior spicco è quella di
Angelo (1467-1549), colto umanista, raffinato uomo di poesia e di lettere, vescovo di Nocera e segretario apostolico presso la Curia romana. Antonio Colocci (1820-1907) fu fervente
patriota, prese parte alle vicende risorgimentali e con l'avvento dell'Unità d'Italia entrò in Parlamento come deputato e poi come senatore. Sposò nel 1853 Enrichetta Vespucci, ultima
discendente della casata del famoso navigatore fiorentino, dalla quale ne ereditò anche il titolo di duca. Il figlio Adriano (1855-1941) è stato l'ultimo esponente di rilievo della
famiglia, uomo inquieto, dal temperamento romantico, viaggiatore instancabile, mosso da mille interessi. È stato deputato al Parlamento nel 1892. Nel palazzo hanno vissuto gli ultimi
discendenti di Amerigo Vespucci. All'interno il Palazzo ospita la Casa Museo Marchese Adriano
Colocci Vespucci.
- Palazzo Balleani. È un esempio di rococò locale, venne realizzato a partire dal 1720 su disegno dell'architetto romano Francesco Ferruzzi. Sull'elegante facciata, dagli spigoli arrotondati, è una
caratteristica balconata rococò con ringhiera in ferro battuto sorretta da quattro possenti telamoni, realizzata nel
1723 dal ravennate Giovanni Toschini. L'interno colpisce per la ricchezza delle sale con i soffitti dai leggerissimi e raffinati stucchi dorati, eseguiti da diversi artisti, tra cui i decoratori Giuseppe Confidati, Antonio Conti, Marco d'Ancona, Orazio Mattioli
e il pittore Giovanni Lanci.
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Piazza Federico II. È la storica piazza più importante della città. Tutta racchiusa da
edifici nobiliari e dal Duomo. Sorge sul luogo del Foro romano, all'incrocio fra il Cardo e il Decumano massimi. Sono state
ritrovate anche le fondamenta degli edifici che la cingevano, come quelle del Teatro, delle Terme e della Cisterna. Dopo le devastazioni barbariche vi sorse la prima cattedrale
cristiana di Jesi, forse sulle fondamenta di un precedente tempio pagano. Il giorno di S. Stefano del 1194, sotto un grande padiglione appositamente eretto, nacque l'imperatore
Federico II. Per ricordare san Floriano, in età comunale, tutte le genti e i
cittadini dei Comuni sottomessi si riunivano ogni anno (il 4 maggio) in questa piazza per rendere omaggio alla città con i propri gonfaloni (detti Palli) e festeggiare il patrono. La
festa si chiamò Palio di San Floriano. La conformazione odierna è quella assunta dal luogo durante il XVIII secolo. Chiude la piazza una caratteristica balaustra, realizzata nel 1758
dal bolognese Gaetano Stegani, architetto della Legazione di Urbino. La fontana – obelisco è opera di
Raffaele Grilli e di Luigi Amici (artefice delle leonesse).
- Palazzo Ripanti. Si estende per tutto il fronte meridionale di piazza Federico II e costituisce un complesso residenziale tra i più vasti della città. Il nucleo originale, risale al
XV secolo e venne ampliato successivamente fino a congiungersi con l'attuale facciata che prospetta sulla
piazza. Il palazzo passò nella seconda metà del XIX secolo alla Curia vescovile che lo ha adibito prima a
Seminario diocesano e attualmente a sede del Museo diocesano.
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Palazzo Ricci. Sorge sull'area della "Rocca pontelliana", con il prospetto
posteriore che dà sulla Piazza della Repubblica e sul quale si eleva una facciata neoclassica,
ricavata a seguito della demolizione del Torrione meridionale della Rocca. Fu voluto dal conte Vincenzo di
Costantino Ricci che ne affidò l'esecuzione, nel 1544, a Guido di Giovanni da Bellinzona e Pierantonio di Baldassarre da Carena. I lavori vennero terminati nel 1547 dai costruttori jesini Guido di Giovanni e Giovanpietro di Beltrani. Il palazzo si caratterizza per la facciata a bugnato con
pietre tagliate a forma di diamante, sull'esempio del prestigioso Palazzo dei Diamanti di Ferrara e del più
vicino Palazzo Mozzi di Macerata, realizzato pochi anni prima, e al quale il Ricci si ispirò probabilmente
per la sua residenza jesina. Completa l'edificio un porticato a sei arcate che
alleggerisce la struttura.
- Palazzo Honorati-Carotti. Di origine rinascimentale, è stato ristrutturato e ampliato più volte a partire dal 1703, dopo l'acquisto, da parte di Bernardino
Honorati (1692-1716) del palazzo del Marchese Silvestri. Verso la metà del secolo, Giuseppe Honorati (1692-1769) affidò i lavori di sistemazione all'architetto romano
Virginio Bracci, supervisore per la Sacra Congregazione di San Luca. Il palazzo venne
completato alla fine del Settecento. Il palazzo presenta una facciata neoclassica con mattoni a
vista. Dal cortile interno si innalza un scalone d'onore, sorretto da pilastri e colonne finemente scanalate, che conduce alle ampie sale superiori dalle ricche decorazioni ora
barocche, come la preziosa Galleria d'ingresso, ora rococò, nelle Gallerie del primo e secondo piano che danno sulle mura e nella saletta ovale, e infine decorate con pitture
neoclassiche attribuibili al fabrianese Luigi Lanci, come la sala delle feste. Nel palazzo era conservata una pregevole collezione di dipinti e una ricca biblioteca di famiglia,
avviata sotto Giuseppe Honorati e giunta al massimo del prestigio alla fine del Settecento con il vescovo Bernardino. Oggi il palazzo, di proprietà Comunale, è sede della pretura.
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Teatro Pergolesi. Già della Concordia, venne costruito nel 1790, in un'area occupata da piccole botteghe in Piazza della Repubblica, allora "della Morte", ceduta dal Comune alla
Società della Concordia nel 1790. Fu inaugurato nel 1798, in piena occupazione francese, con due opere del
Cimarosa, La Capricciosa corretta e Il Principe Spazzacamino, che vennero
cantate dal soprano pesarese Anna Guidarini, madre di Gioachino Rossini, in un teatro disertato dalla nobiltà jesina per paura di rappresaglie da parte dei giacobini. Nel
1883 il teatro cambiò nome, perdendo quello originale della Concordia e assumendo quello del musicista jesino
Giovanni Battista Pergolesi; venne poi ceduto definitivamente dalla
Società al Comune nel 1933.
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Palazzo Pianetti "in Terravecchia" fu costruito alla metà del Settecento ed è un
capolavoro del rococò italiano. La lunghissima facciata è aperta da cento finestre, mentre sul lato
posteriore vi è un bellissimo giardino all'italiana. All'interno è ospitata la
pinacoteca, di grande rilievo sono alcune pitture di Lorenzo Lotto: Visitazione (1530),
Annunciazione, Madonna col Bambino e santi, San Francesco che riceve le stimmate (1526),
San Gabriele, Annunciata (1526) e il suo capolavoro, la pala di Santa Lucia davanti al giudice (1532). Vi sono custodite, inoltre, epigrafi funerarie, terrecotte robbiane, vasi da farmacia e ceramiche.
- Arco clementino. È un arco trionfale eretto nel 1734, su progetto dell'architetto Domenico Valeri, in onore di
papa Clemente XII degli Orsini. Fu un gesto di omaggio verso il pontefice che si era reso
benemerito per l'abolizione del dazio sul grano e la sistemazione della strada che collega Nocera
Umbra con l'Adriatico e che venne chiamata, da allora, "Clementina" (l'attuale Statale 76). L'arco costituisce il punto focale del lungo asse prospettico e fortemente scenografico
del Corso settecentesco oggi intitolato a Giacomo Matteotti.
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Duomo. Dedicato a San Settimio, fu costruito tra il XIII e il XIV secolo ad opera di Giorgio da Como, e rifatto tra il 1732 e il 1741 da Domenico
Barrigioni. Della vecchia costruzione rimangono, all'interno, i due leoni-acquasantiere già facenti parte del portale della chiesa. Il campanile, che caratterizza il profilo
urbano, è opera del locale Francesco Matellicani, che lo eresse nel 1782-84 ispirandosi a quello vanvitelliano del Santuario della Santa Casa di Loreto. La
facciata, caratterizzata da una serliana, è stata ultimata nel 1889 su progetto di Gaetano Morichini, su iniziativa del vescovo Rambaldo
Magagnini. L'interno si presenta a navata unica e cupola emisferica, secondo il gusto neoclassico dell'epoca. Durante il XVIII secolo vennero aperte molte cappelle laterali arricchite con dipinti, decorazioni e arredi liturgici volute dai nobili
jesini.
- Convento di San Floriano. È la chiesa più importante della città sotto il profilo storico e religioso. Infatti fin dal XII secolo fu dedicata al patrono della comunità jesina e qui si svolgevano le più importanti cerimonie pubbliche tra cui, il 4
maggio, la presentazione del Palio da parte dei Castelli di Jesi in segno di sottomissione
alla città. Nel 1439 venne presa in consegna dai Frati Minori Conventuali, provenienti dal convento di San Marco, che dal 1478, procedettero ad un rinnovamento interno del tempio medioevale che era a navata unica, orientato in direzione nord-sud, con ingresso
sul cortile dell'attuale Palazzo Ghisleri. Negli stipiti della porta d'ingresso sono tuttora visibili alcune pietre intagliate in stile romanico della precedente chiesa medioevale. Fu
allora che la planimetria venne modificata collocando l'ingresso verso la piazza, con la creazione di nuove cappelle che ben presto si arricchirono di monumenti sepolcrali e opere d'arte,
tra cui la Deposizione, la Annunciazione e la Pala di Santa Lucia di Lorenzo
Lotto, realizzate tra il 1512 e il 1532 e
ora conservate nella Pinacoteca Civica assieme ai sarcofagi e ai bassorilievi che originariamente l'adornavano. L'aspetto attuale è frutto del rifacimento avviato nel 1743 nel corso del quale la chiesa e il convento subirono radicali trasformazioni ad opera dell'architetto Francesco Maria Ciaraffoni che ne progettò gli interni e lo scalone. Presenta
un grande tiburio e una facciata mai completata. L'interno, a pianta centrale ellittica, è tutto impostato sulla bellissima cupola a base ovale riccamente decorata di stucchi e affreschi con le Storie di san Francesco eseguiti in stile tardo-barocco
dal locale Francesco Mancini a partire dal 1851. La chiesa, sconsacrata nel 1860, divenne prima sede della Biblioteca civica, poi della Pinacoteca Comunale e oggi, infine, è sede del Teatro studio Valeria Moriconi, dedicato all'attrice jesina.
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Chiesa di San Marco. Sorge poco fuori dalla cerchia delle mura, fa
parte di un complesso monastico di clausura. Venne eretta in stile Gotico nel
XIII secolo e presenta una facciata tripartita aperta da un ricco rosone in cotto sormontante un
portale marmoreo. L'interno è diviso in tre navate da pilastri ottagonali che reggono volte a crociera. Vi si conservano alcuni affreschi trecenteschi, superstiti del ciclo pittorico che originariamente decorava la maggior parte delle pareti della chiesa, che
ritraggono il "Transito della Madonna", la "Madonna di Loreto", la "Crocifissione" e l'"Annunciazione". Le pitture murali hanno dato luogo ad
alcune difformità di attribuzione, ma i recenti restauri hanno permesso di chiarire la matrice di scuola riminese degli affreschi ricondotti a Giovanni e Giuliano da Rimini e ad artisti di ambito fabrianese. Nel corso dei restauri effettuati il secolo scorso (1854-1859) dall'architetto Angelo Angelucci e dai pittori
Silvestro Valeri di Perugia e Marcello Sozzi di Roma, si è provveduto a completare la decorazione della volta e dei sottoarchi, oltre che degli arredi lignei.
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Chiesa di San Giovanni Battista. L'edificio
risale al XIII secolo, quando si iniziò ad urbanizzare quella parte di terreno, detta di
Terravecchia, appena fuori dalla primitiva cerchia muraria. Ricostruita interamente dai frati Apostoliti alla fine del Cinquecento, nella seconda metà del Seicento venne ristrutturata
e portata a nuova veste dai Padri Filippini, i primi e quasi gli unici ad introdurre il Barocco nelle Marche. Presenta una sobria facciata, ma ha un interno sfavillante di stucchi
nella particolare coloritura bianco-oro. Vi si conservano varie opere d'arte, fra cui la preziosa icona del “Sangue Giusto”, affresco del 1333 attribuito a Pietro da Rimini.
- Chiesa di San Nicolò. È l'edificio più antico della città di Jesi, documentato fin dal XII secolo. Le originali forme romaniche vennero rimaneggiate nel XIV secolo con l'aggiunta di
elementi gotici. L'interno, a tre navate absidate, presenta una prevalenza di volte a crociera costolonate sostenute da pilastri compositi; rimandano invece a forme romaniche le navate
laterali introdotte da archi a tutto sesto. Degli affreschi realizzati nella prima metà del XVI secolo non rimangono in loco che poche, illeggibili, tracce. Da San Nicolò proviene tra
l'altro l'affresco di Pietro da Rimini raffigurante “San Francesco” (1333), oggi conservato
alla Galleria Nazionale di Urbino, e L'Icona del Sangue Giusto, oggi conservata presso la chiesa di San Giovanni Battista. Particolarmente originale è la decorazione esterna del complesso
absidale che presenta una successione di archetti pensili a goccia. Di estrema semplicità è la facciata a due spioventi al cui centro si apre un portale ad arco senese in marmo policromo e ghiera in laterizio a spina.
- Chiesa di Santa Maria delle Grazie, originaria del Quattrocento ma con il campanile del XVII secolo e rifatta del XVIII secolo, custodisce all'interno l'immagine della Madonna della Misericordia,
affresco attribuito ad Antonio da Fabriano.
- Ex orfanotrofio femminile, con chiesa annessa, esempio di edilizia "illuminata" della seconda metà del
XVIII secolo, dell'architetto romano Virginio Bracci.
- Chiesa "Mereghi", già del monastero delle Benedettine di Sant'Anna e già
dedicata alla Santa. A pianta centrale del XVIII secolo, attualmente ha il prospetto su Corso
Matteotti obliterato dal fronte dell'ex convento rifatto in forme di palazzo civile dalla omonima famiglia nella seconda metà del XIX secolo. L'interno intatto a pianta ellittica attualmente ospita saltuariamente degli eventi socio-culturali
- Chiesa di San Pietro, di origini medioevali, ricostruita nel XVIII secolo ad opera dell'architetto
Mattia Capponi, con
facciata coronata da due campaniletti.
- Cappella di San Bernardo, già cappella del Palazzo Pianetti "in Porta Valle", con esuberante interno settecentesco ricco di stucchi tipicamente mitteleuropei, recentemente recuperata
dopo essere stata adibita a deposito di carbone, ospita periodicamente esposizioni e manifestazioni culturali.
- Chiesa di Santa Maria del Piano, ex abbaziale, fuori dal centro storico lungo la strada per Macerata, che conserva all'interno antiche vestigia delle sue origini.
- Chiesa di San Savino (resti), di epoca altomedioevale, a poca distanza dalla "nuova" costruita alla metà del
XVI secolo.