Viterbo (Vetèrbe in dialetto viterbese[2]) è un comune italiano di 67 273 abitanti capoluogo dell'omonima provincia nel Laziosettentrionale, o Alto Lazio. La città è completamente circondata da altri centri urbani e si trova al centro di un'area, caratterizzata dall'integrazione dei rapporti di comuni come Vitorchiano, Soriano, Montefiascone, che conta più di 90 000 abitanti.
La città ha antiche origini (si ritiene che Viterbo derivi dal latino Vetus Urbs, cioè Città Vecchia[3]) ed ha un vasto centro storico medioevale – con alcuni quartieri ben conservati – cinto da mura e circondato da quartieri moderni, tranne che ad ovest, dove si estendono zone archeologiche e termali (necropoli di Castel d'Asso, sorgente del Bullicame). Viterbo è storicamente nota come laCittà dei Papi: nel XIII secolo fu infatti sede pontificia e per circa 24 anni il Palazzo Papale ospitò o vi furono eletti vari Papi. Papa Alessandro IV decise nel 1257 il trasferimento della Curia Papale nella città a causa del clima ostile presente a Roma; il soggiorno papale durò, salvo brevi interruzioni, fino a quando papa Martino IV, appena eletto (22 febbraio 1281), allontanò definitivamente la corte pontificia da Viterbo.
La città è famosa per il trasporto della Macchina di Santa Rosa, tradizionale e spettacolare manifestazione che si svolge ogni anno la sera del 3 settembre, in onore della Santa patrona: una struttura illuminata, alta 30 metri e del peso di 52 quintali, viene portata a spalla da cento uomini, i Facchini di Santa Rosa, per le vie abbuiate della città. Nel 2013 la Macchina è stata inserita dall'UNESCOtra i Patrimoni immateriali dell'Umanità.
A Viterbo hanno sede l'Università della Tuscia, istituita il 18 aprile 1979, il comando nazionale dell'Aviazione dell'Esercito, la Scuola Sottufficiali dell'Esercito e la Scuola Marescialli dell'Aeronautica Militare.
La città sorge a 326 metri sul livello del mare, con una superficie territoriale di 406,23; all'interno di un ampio falsopiano, situato sulle prime pendici settentrionali del Monte Palanzana (che i viterbesi chiamano semplicemente La Palanzana), appartenente al gruppo dei Monti Cimini, rilievi di origine vulcanica che fanno parte, a loro volta, dell'Antiappennino laziale. Il falsopiano sul quale si trova il centro cittadino si distende ad ovest verso la pianura maremmana. La città è attraversata per tutta la sua lunghezza, con decorso est-ovest, dal Fosso Urcionio, che ai nostri giorni scorre quasi completamente nel sottosuolo, mentre scorreva in superficie fino ai primi decenni del Novecento.
Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Viterbo. |
Si hanno tracce d'insediamenti neolitici ed eneolitici e varie tracce, specie nel sottosuolo, di presenze etrusche nella lontana storia di Viterbo, ma alcuni storici sono portati a credere che nel periodo etrusco l'insediamento non raggiungesse lo stato di vicus, mentre altri storici hanno addirittura supposto che vi fosse in loco una tetrapoli etrusca, sulla base dalla sigla FAVL che, secondo le fantasiose teorie quattrocentesche di frate Annio, era un acronimo formato dalle iniziali di quattro cittadine (Fanum, Arbanum,Vetulonia, Longula)[4]. Più plausibile appare l'identificazione di Viterbo con la città etrusca Surina, sostenuta da studiosi del XX secolo.
Dopo la conquista romana vi fu costituito, con ogni probabilità, un insediamento militare, chiamato Castrum Herculis per la presenza nella zona di un tempio che si riteneva dedicato all'eroe mitologico (il leone simbolo di Viterbo deriva da questo aneddoto).
Notizie più certe si hanno con la cittadina dell'Alto medioevo, che trae origine da un "castrum", cioè una fortificazione longobardaposta al confine tra i possedimenti longobardi nella Tuscia e il ducato bizantino di Roma: il colle di San Lorenzo, ricordato nella donazione di Sutri tra le proprietà che Liutprando promette alla Chiesa nel 729, fu fortificato nel 773 da Desiderio, nell'ultimo periodo della sua contesa con Carlo Magno. Dell'852è un documento papale che riconosce il Castrum Viterbii come parte delle terre di San Pietro, mentre Ottone I annovera il castello tra i possedimenti della Chiesa.
Nell'XI secolo l'incremento demografico contribuì alla nascita di nuclei abitativi fuori dal castrum, e, attorno al 1090, a un primo tratto di mura; nel 1099 la scelta dei primi consoli sancì il passaggio a istituzioni comunali. È il XII secolo il periodo in cui Viterbo, libero comune, si assicurò il possesso di numerosi castelli: in tal senso la protezione di Federico I Barbarossa (presente nella città nel 1162), e il suo riconoscimento del comune viterbese, conferì legittimità alla sua politica di espansione. Nel 1172 venne distrutta la città di Ferento il cui simbolo (una palma) fu aggiunto al leone, simbolo di Viterbo (l'emblema tuttora vigente è costituito appunto da un leone accollato ad una palma); attorno al 1190 venne assediata Corneto (odierna Tarquinia), mentre l'imperatore attaccò Roma con l'esercito viterbese. Ildistrictus del comune aumentò considerevolmente in quegli anni.
Ulteriore elemento che accrebbe il prestigio e l'importanza politica di Viterbo, fu la sua elevazione a cattedra vescovile nel 1192 ai danni diTuscania, la cui precedente predominanza nella Tuscia romana venne così meno.
All'inizio del XIII secolo la città fu finalmente inserita nell'orbita papale ed iniziò in tal modo un periodo di grande splendore, soprattutto con il disegno di papa Innocenzo III, che tentò di costituire uno stato territoriale: Viterbo nel 1207 ospitò il Parlamento degli stati della Chiesa. Tuttavia, per la presenza nella città di importanti famiglie insofferenti del predominio papale, venne invocata la protezione di Federico II: si aprì così, fino al 1250 circa, un periodo di lotte interne tra guelfi (la famiglia dei Gatti), e ghibellini (i Tignosi), con un'iniziale prevalenza di questi ultimi. Si inserì in questo contesto di aspre lotte civili e religiose la vita della più illustre figlia di Viterbo: Santa Rosa da Viterbo, che visse tra il 1233 e il 1251. Si ricordano non solo suoi miracoli in vita e post mortem, ma anche, benché fosse giovanissima morendo ad appena 18 anni, la sua coraggiosa predicazione contro gli eretici e i ghibellini, che animò i viterbesi a resistere contro l'assalto dell'esercito di Federico II. Negli stessi anni la città vide le iniziative politiche e militari del cardinale viterbese Raniero Capocci, storico ed acerrimo nemico dell'imperatore[5].
Il fallito assedio di Federico II nel 1243 con la grande vittoria dei viterbesi, guidati proprio da Raniero Capocci, sull'esercito imperiale e il conseguente successo dei guelfi, sancì, per la seconda metà del XIII secolo ed anche per i secoli futuri, la definitiva politica filo-papale: la ricca famiglia dei Gatti monopolizzò le cariche municipali e i pontefici scelsero Viterbo come sede papale. L'episodio discriminante, che attirò addirittura l'attenzione mondiale su Viterbo, fu l'elezione papale del 1268-1271, che portò Gregorio X al soglio pontificio: i cardinali che dovevano eleggere il successore di Clemente IV si riunivano inutilmente da quasi 20 mesi, quando il popolo viterbese sdegnato da tanto indugio, sotto la guida del Capitano del popolo Raniero Gatti, giunse alla drastica decisione di chiudere a chiave i cardinali nella sala dell'elezione (clausi cum clave), nutrirli a pane e acqua, e scoperchiare il tetto lasciandoli esposti alle intemperie, finché non avessero eletto il nuovo Papa; alla fine i cardinali - pressati anche dalle continue rampogne di Bonaventura da Bagnoregio - scelsero il piacentino Tedaldo Visconti, arcidiacono di Liegi, che aveva ricevuto solo gli ordini minori e in quei giorni si trovava in Terra Santa per la nona crociata. Il nuovo papa prese il nome di Gregorio X, (1272), e, vista la bontà della "clausura", stabilì con la costituzione apostolica Ubi Periculum che anche le future elezioni papali avvenissero in una sede chiusa a chiave: era nato il Conclave. Dal 1261 al 1281 in Viterbo si tennero ben cinque conclavi. Nell'ultimo di questi il popolo, artatamente sobillato daCarlo d'Angiò, irruppe nella sala del Conclave e mise al carcere duro il cardinale Matteo Rubeo Orsini, protodiacono. Il pontefice che uscì eletto da questo conclave, funestato dall'invasione del popolo viterbese, fu un francese, il cardinale Simon de Brion, proprio come voleva Carlo d'Angiò. Peraltro il nuovo papa, che scelse il nome pontificale diMartino IV, appena eletto, anziché ringraziare i viterbesi che, mettendo in difficoltà i cardinali della famiglia Orsini, avevano favorito la sua elezione, lanciò sulla città di Viterbo un pesante interdetto e l'abbandonò in fretta e furia con tutta la corte pontificia, senza tornare a Roma, come molti auspicavano, ma recandosi a Orvieto. Si chiuse con questo spiacevole episodio il periodo aureo di Viterbo.
I papi non verranno più a risiedere in città, anche se diversi pontefici vi soggiorneranno talora per periodi piuttosto lunghi; ne sono esempi papa Urbano V, che si fermò a Viterbo alcuni mesi tra il 1367 e il 1370[6] durante l'infruttuoso tentativo di riportare a Roma la sede papale, e papa Niccolò V, che nel 1454 fece addirittura costruire dal Rossellino in zona Bullicame un bel Palazzo termale (andato purtroppo perduto quasi completamente) per venire in città a curare le sue gravi malattie, nonché Giulio II, che fu spesso ospite, nel primo decennio del Cinquecento, degli agostiniani viterbesi, vista l'amicizia che lo legava ad Egidio da Viterbo, e Leone X, che veniva a caccia nei dintorni[7]. Durante la stabile presenza della curia papale a Viterbo, la città aveva raggiunto il suo massimo splendore, sia economico, quale centro posto lungo vie di comunicazione importanti, come la Via Cassia e la Francigena, che architettonico, con l'edificazione di edifici pubblici municipali, torri, chiese, nel fiorire sia dello stile romanico che dello stile gotico, che i cistercensiavevano inaugurato nel luogo con l'Abbazia di San Martino al Cimino.
L'esilio avignonese dei papi contribuì alla decadenza della città e al riaprirsi delle lotte interne. L'effimera ricostituzione del Patrimonio di San Pietro del cardinale Egidio Albornoz, non impedì ai nobili Gatti e ai prefetti di Vico di imporsi, con istituzioni ormai di tipo signorile, a Viterbo. Nei primi decenni del XVI secolo Viterbo ospitò nuovamente, e spesso, papi, da Giulio II a Leone X, grazie - come sopra accennato - all'opera straordinaria del cardinale agostiniano Egidio da Viterbo. A metà del Cinquecento la città conobbe un nuovo, ancorché breve, periodo di fervore culturale e spirituale per la presenza del cardinale Reginald Pole, che riuniva a Viterbo il suo celebre circolo, di cui faceva parte, tra gli altri, la marchesa Vittoria Colonna ed alle cui riunioni intervenne spesso Michelangelo. Dal XIII al XVI secolo, Viterbo è stata sede di una comunità ebraica, fino al decreto di espulsione del 1569[8].
Per Viterbo è un periodo di scarsa vitalità, economica e culturale: dalla fine del XVI secolo la città segue le sorti dello Stato della Chiesa e vede tramontare del tutto la vocazione internazionale che aveva assunto nei secoli del basso medioevo.
Occupata nel 1798 dalle truppe francesi del generale Championnet, intervenuto a difesa della Repubblica romana, si ribellò, imprigionando la guarnigione lasciatavi dai francesi, quando nel mese di novembre le truppe del generale austriaco Mack e del re di Napoli Ferdinando IV di Borbone entrarono in Roma. Cacciate tuttavia queste poco dopo dallo Championnet, Viterbo fu attaccata dalle truppe del generale francese François Étienne Kellermann, al quale dovette arrendersi dopo che il medesimo aveva sconfitto nelle vicinanze i 6.000 uomini dell' emigré francese, Roger de Damas.[9].
Nel 1867, con la colonna garibaldina Acerbi, fu testimone della sfortunata Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma, conclusasi a Mentana il 3 novembre con la sconfitta di Garibaldi da parte delle truppe pontificie e francesi.
Con l'unità d'Italia, aggregato quasi tutto il Lazio nella provincia di Roma, Viterbo perse la qualifica di capoluogo, che le fu restituita solo nel 1927 con il riordino delle circoscrizioni provinciali, attuato da Benito Mussolini.
In questa occasione però, aspirava al rango di provincia anche Civitavecchia ma Viterbo riuscì ad avere la meglio, incrementando il proprio territorio e numero di abitanti, sopprimendo e inglobando come frazioni, con assenso governativo, i comuni di Bagnaia, San Martino al Cimino, Grotte Santo Stefano, ed altri piccoli centri limitrofi. (vedi comuni italiani soppressi).
Durante la seconda guerra mondiale la città venne rapidamente occupata dopo l'8 settembre 1943 dalle truppe tedesche della 3. Panzergrenadier-Division che erano in movimento verso Roma. Durante l'occupazione fu sede di un comando tedesco e fu quindi sottoposta dall'aviazione alleata a ripetuti bombardamenti, di cui particolarmente pesante fu quello del 17 gennaio 1944, che portò alla morte di centinaia di civili ed alla distruzione di varie zone del centro storico e di altri territori vicini.
Lo stesso argomento in dettaglio: Stemma di Viterbo. |
Lo stemma civico, riconosciuto con decreto del 19 luglio 1929, ha la seguente blasonatura:
« d'azzurro, al leone leopardito coronato d'oro sopra pianura di verde, accollato ad una palma fruttata di rosso, al naturale, tenente con la branca anteriore destra una bandiera bifida rossa, alla croce d'argento, cantonata di quattro chiavi di argento, poste in palo, con l'ingegno all'insù ed astato di verde » |