Rionero in Vulture comune |
|||
---|---|---|---|
|
|||
Localizzazione | |||
Stato | Italia | ||
Regione | Basilicata | ||
Provincia | Potenza | ||
Amministrazione | |||
Sindaco | Antonio Placido (centro-sinistra) dal 30/05/2006 | ||
Territorio | |||
Coordinate | 40°55′00″N 15°40′00″ECoordinate: 40°55′00″N 15°40′00″E (Mappa) | ||
Altitudine | 676 m s.l.m. | ||
Superficie | 53,52 km² | ||
Abitanti | 13 247[2] (31-05-2015) | ||
Densità | 247,51 ab./km² | ||
Frazioni | Monticchio Bagni, Monticchio Sgarroni[1] | ||
Comuni confinanti | Aquilonia (AV), Atella, Barile,Calitri (AV), Melfi, Rapolla,Ripacandida | ||
Altre informazioni | |||
Cod. postale | 85028 | ||
Prefisso | 0972 | ||
Fuso orario | UTC+1 | ||
CodiceISTAT | 076066 | ||
Cod. catastale | H307 | ||
Targa | PZ | ||
Cl. sismica | zona 1 (sismicità alta) | ||
Nome abitanti | rioneresi | ||
Patrono | San Marco, Madonna del Carmelo | ||
Giorno festivo | 25 aprile | ||
Cartografia | |||
Posizione del comune di Rionero in Vulture all'interno della provincia di Potenza |
|||
Sito istituzionale |
Rionero in Vulture (IPA: [rioˈnerˈoʎnˈvulture][3], Arennìure in dialetto rionerese[4]), chiamato generalmente Rionero, è un comune italiano di 13.267 abitanti[2] della provincia di Potenza, in Basilicata. È stato insignito della Medaglia d'argento al merito civile per atti di abnegazione durante il secondo conflitto mondiale. La città di Rionero è conosciuta in Italia anche per la sua ricchezza di acque Minerali. Qui opera l'azienda "Fonti del Vulture", che imbottiglia tra le altre la "Acqua Lilia" ed è luogo di estrazione dell'acquaGaudianello, azienda con sede legale a Melfi. Inoltre è un centro produttivo di vini, come l'Aglianico del Vulture, il Moscato bianco e di olio come l'Olio DOP del Vulture. Rionero ospita il CROB, un centro sulla ricerca oncologica a livello nazionale.
Si trova su due colline a sud-est del Vulture, vicino al confine con la Campania e la Puglia, a 676 metri sul livello del mare. Il suo territorio si estende per 53,1 km² ed i suoi abitanti sono divisi tra il centro abitato e le frazioni di Monticchio Bagni e Monticchio Sgarroni.
Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Monticchio Bagni. |
Il clima è rigido d'inverno e caldo temperato d'estate. Secondo i dati medi del trentennio 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +4,4 °C, mentre quella del mese più caldo, agosto, è di +23,0 °C[5].
MONTICCHIO BAGNI | Mesi | Stagioni | Anno | ||||||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Gen | Feb | Mar | Apr | Mag | Giu | Lug | Ago | Set | Ott | Nov | Dic | Inv | Pri | Est | Aut | ||
T. max. media (°C) | 7,7 | 9,5 | 12,1 | 17,1 | 21,3 | 26,9 | 29,7 | 30,3 | 25,5 | 18,4 | 13,3 | 10,5 | 9,2 | 16,8 | 29,0 | 19,1 | 18,5 |
T. min. media (°C) | 1,1 | 1,9 | 3,3 | 6,4 | 9,0 | 14,5 | 15,7 | 15,7 | 13,1 | 9,2 | 5,9 | 3,6 | 2,2 | 6,2 | 15,3 | 9,4 | 8,3 |
Le origini del nome |
---|
Le origini del nome di questa cittadina non sono del tutto chiare. Secondo alcuni, la suaetimologia deriva da "Rivo Nigro" (ruscello nero) , sorgente affiorante dal tufo vulcanico (pozzolanico) di colore nero che attraversa il paese dividendolo in due parti (fonte ora conglobata nella fontana detta "Grande" o della "Baronessa"). |
Il territorio era abitato nel IV secolo a.C., come provano le tombe rinvenute nelle località "San Francesco", "Cappella del Priore" e "Padulo". Resti di un acquedotto di epoca romana sono visibili sulla fiumara di Ripacandida, nei pressi dell'attuale abitato. Nel III secolo a.C. entrò a far parte dell'agro di Venusia (l'attuale Venosa).
Scavi archeologici in corrispondenza della "Torre degli Embrici" hanno riportato alla luce nel 2004 un insediamento agricolo-termale, risalente agli ultimi secoli avanti Cristo e proseguito fino al tardo Medioevo. Una bolla di papa Eugenio III datata 1152 diede vita a "Santa Maria di Rivonigro", casale del feudo di Atella, a sua volta appartenente al vescovo di Rapolla.
Con la caduta dell'impero romano e l'avvento delle invasioni barbariche, il circondario di Rionero vide l'arrivo dei normanni, che si stanziarono soprattutto nella frazione di Monticchio, facendo del castello locale la loro roccaforte, il quale fu probabilmente costruito prima del loro arrivo. La zona divenne in seguito luogo di rifugio per i monaci basiliani, giunti dalla penisola balcanica per evitare le persecuzioni iconoclastiche. Anche l'ordine religioso si stanziò a Monticchio, ove costruirono anche un'abbazia.
In epoca sveva, si ritiene da alcuni storici che la zona di Rionero fu residenza di caccia di Federico II, ove il sovrano, che trascorreva gran parte del suo tempo libero a Melfi, si recava nei boschi del monte Vulture per esercitare la sua grande passione.[6]
Con la fine del governo svevo, il casale fu colpito da un vertiginoso aumento delle tasse, che compromise già le condizioni abbastanza misere dei suoi abitanti. Nel 1316, in seguito ad un bando di Giovanni d'Angiò che accordava esenzioni e immunità per popolare l'allora neonata Atella, Rionero fu quasi del tutto abbandonata per circa un secolo.
Il casale di Rionero fu ripopolato nel 1456, quando Atella fu distrutta da un violento terremoto e gran parte degli abitanti furono costretti a ricostruire e ripopolare il vicino casale. In questo periodo giunse anche una comunità di contadini, discendenti degli albanesi emigrati a Melfi. La comunità albanese si stabilì nei pressi della "Chiesa dei Morti", ove professarono il loro culto di rito greco fino al 1627, quando il vescovo Diodato Scaglia li conduce al culto latino.
Durante la dominazione spagnola, la città ebbe un periodo di pace e di prosperità. In data 1º aprile 1502, Rionero ospitò nella chiesa di Sant'Antonio Louis d'Armagnac, duca di Nemours e Consalvo Fernandez di Cordova, rispettivamente comandanti degli eserciti francese e spagnolo, i quali si incontrarono per stipulare accordi sulla spartizione delRegno di Napoli.
Gravemente colpita dal terremoto del 1694, la sua popolazione in quel periodo non superava settecento persone. In seguito la nobile famiglia Caracciolo, ai quali spettava il feudo, concessero il disboscamento, il dissodamento e la coltivazione dei terreni occupati dai boschi della località "Gaudo". Grazie alla sua posizione di frontiera tra Campania ePuglia, Rionero ebbe un certo incremento economico e demografico: nel 1735 gli abitanti erano giunti a circa 3000, nel 1752 a circa 9000.
Durante la Repubblica Napoletana del 1799, Rionero partecipò attivamente ai moti e vi fu piantato l'Albero della libertà. I rioneresi Michele Granata e Giustino Fortunato seniorfurono importanti esponenti della repubblica partenopea ma, dopo la sua caduta, Granata fu condannato a morte nel dicembre dello stesso anno mentre Fortunato si salvò con la fuga. Quest'ultimo venne poi reintegrato da Gioacchino Murat e, con la seconda restaurazione borbonica, divenne primo ministro del Regno delle Due Sicilie.
Nel 1811, Rionero avevano superato gli 11000 abitanti e divenne Comune autonomo con decreto di Gioacchino Murat il 4 maggio dello stesso anno, grazie all'impegno diGiustino Fortunato senior.[7] Nell'aprile 1848, in piena rivoluzione agraria sotto il Regno delle Due Sicilie, a Rionero si registrarono forti tumulti contro il latifondismo. I contadini rioneresi, dopo aver costretto con la forza il sindaco ad abolire il dazio sul macinato, invasero il bosco di Lagopesole appartenente alla famiglia Doria, non sopportando il fatto che un famiglia estranea al regno avesse possedimenti che dovrebbero spettare ai contadini.[8]
All'alba dell'unità d'Italia, Nicola Mancusi, sacerdote, patriota e responsabile del comitato insurrezionale di Avigliano, vedendo un solido appoggio da parte delle classi medie, scelse Rionero per installare un altro comitato nel giugno 1860, che avrebbe agevolato la cosiddetta insurrezione lucana in favore di Giuseppe Garibaldi. Il 17 agosto dello stesso anno, l'allora sindaco di Rionero, Giuseppe Michele Giannattasio, con il quadro di Garibaldi in mano, scese in piazza gridando "Viva Garibaldi!" e assieme ad altri sostenitori come Emanuele Brienza, Canio Musio, Nicola Mennella, Achille D'Andrea, Achille Pierro, Francesco Pennella e Costantino Vitelli, al comando di un gruppo di 54 volontari si recano a Potenza.
Con la caduta del Regno delle Due Sicilie e la sua annessione al nuovo regno d'Italia, le speranze però andarono deluse e le promesse di una risoluzione della questione demaniale da parte del nuovo governo non vennero attuate. suscitando un forte malcontento del ceto popolare. Così Rionero divenne uno dei maggiori centri del brigantaggio postunitario e diede i natali al più noto brigante del periodo, Carmine Crocco detto "Donatello", un bracciante che si arruolò come garibaldino durante la spedizione dei Mille e che, dopo la delusione ricevuta per la mancata clemenza per il suo passato da disertore, passò nelle file borboniche per combattere i borghesi e l'esercito unitario, divenendo comandante di un'armata di 2000 uomini.[9] In quattro anni, Crocco sconvolse la zona del Vulture, dell'Irpinia, della Capitanata e le sue scorrerie arrivarono fino al Molise e alSalento.
Un altro noto brigante originario di Rionero fu Michele di Gè, che aderì al brigantaggio quando l'armata di Crocco era stata quasi del tutto debellata. Con la fine del brigantaggio, Rionero fu sconvolta ancor di più da povertà e miseria. Grazie all'impegno del meridionalista Giustino Fortunato, originario di Rionero, le gravose condizioni di vita della città vennero parzialmente alleviate: con la diffusione di vaccini antimalarici, con la costruzione di un asilo dedicato alla madre Antonia Rapolla e della stazione ferroviaria di "Rionero-Atella-Ripacandida", inaugurata il 21 settembre 1897.[10]
Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Rionero in Vulture. |
Nel 1902, l'allora primo ministro Giuseppe Zanardelli, in viaggio per conoscere di persona le problematiche dell'Italia Meridionale, fece visita a Rionero accompagnato da Fortunato ed alloggiò nel suo palazzo tra il 26 e il 29 settembre.
Nel settembre 1943, si registrò a Rionero una delle più tristi tragedie della sua storia, ove 18 rioneresi furono trucidati da alcune truppe naziste. Già dal 16 settembre la popolazione rionerese, per paura della distruzione da parte tedesca dei magazzini dei viveri, assalta gli stessi magazzini del Rione Sant'Antonio, portando via sacchi di farina, di riso e altri generi alimentari.
I nazisti spararono sulla folla uccidendo un diciassettenne, Antonio Cardillicchio, e diedero fuoco ai magazzini, ove perì una donna, Elisa Giordano Carrieri. Il 24 settembre, il contadino Pasquale Sibilia, svegliato dalle grida della figlia, esce di casa con un fucile e, vedendo un sergente dei paracadutisti, che sembrava rubargli una gallina, gli spara ferendolo di striscio e il militare risponde al fuoco colpendo Sibilia all'inguine.
A causa del gesto del contadino, il capitano dei paracadutisti, su ordine di un ufficiale tedesco, fece catturare 16 persone che, insieme a Sibilia vengono barbaramente uccisi a colpi di mitragliatrice. Uno soltanto, Stefano Di Mattia, creduto morto perché svenuto, sfugge al massacro giacendo sotto i corpi dei compagni. Una stele eretta sul luogo dell'eccidio ne ricorda la tragedia per la quale la città di Rionero ha ottenuto la Medaglia d'Argento al Merito Civile.
Il 3 ottobre 2009, riceve il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, ospitato nel palazzo Fortunato nel convegno "Mezzogiorno e unità nazionale - verso il 150º dell'Unità d'Italia", affrontando la tematica del Risorgimento, del Mezzogiorno e rendendo omaggio alla memoria di Fortunato. I successivi e periodici flussi emigratori fecero diminuire la popolazione sino agli attuali 13.000 abitanti.
« Corona ducale con sottostante una mano impugnante una daga di color ferro, lo scudo è ornato di pampini e rose su campo celeste[11] » |
Medaglia d'argento al merito civile | |
«Centro occupato
dalle truppe tedesche, durante l'ultimo conflitto mondiale subì violente rappresaglie e rastrellamenti che provocarono la morte di diciotto concittadini inermi. Nobile esempio
di spirito di sacrificio ed elette virtù civiche.» — Rionero in Vulture (PZ), Settembre 1943 |
Detta anche Chiesa Madre e costruita nel 1695, fu dedicata nel 1700 a San Marco Evangelista, patrono di Rionero. Fino al 1728presentava una navata, ma in seguito venne ricostruita completamente secondo la struttura attuale a croce latina, con la facciata in stile barocco e con tre navate. L'interno è costituito da una cupola, due cappelle laterali, soffitto a cassettoni nella navata centrale. Nel 1798ebbe il titolo di "Arcipretura collegiata di San Marco Evangelista", retta da un regolamento e da norme molto restrittive. I terremoti del1851, 1930 e 1980 hanno seriamente danneggiato la struttura, più volte restaurata nel rifacimento del soffitto, del tetto e degli altari.
Fu edificata ove era situata l'antica chiesa di Santa Maria di Rivonigro, cuore del primitivo nucleo abitato scomparso nella prima metà del Trecento. Fu parrocchia rurale concessa agli albanesi nel 1530, che praticarono il rito greco fino al 1627, quando il vescovo di Melfi, Diodato Scaglia, li indusse al rito latino. In origine l'edificio era formato da un'unica navata e nel 1794 venne ampliato con l'aggiunta di una navata laterale. Nel 1826 la "Confraternita dei Morti" fece sostituire il vecchio campanile con un altro a base quadrata, la cui cuspide è stata ripristinata nel 2004, dopo essere stata danneggiata dal terremoto del 1980. Nella Sacrestia è conservata una tela del XVI secolo, “la Madonna col Bambino e San Giovannino” di Luca Giordano.
La data di costruzione è piuttosto incerta (si pensa agli inizi del Settecento, analizzando le decorazioni di tardo barocco del soffitto). La chiesa della SS. Annunziata sorse come oratorio privato per conto del nobile di Rionero Marcantonio Di Silvio, che la dedicò alla Beata Vergine Annunziata. Secondo i primi registri di battesimi, matrimoni e defunti, l'edificio divenne parrocchia nel 1780. Dopo i lavori di restauro, la parrocchia, su richiesta dei cittadini, fu spostata nella "Chiesa di Caravaggio" nel rione "Costa" fino al mese di maggio 1831, quando il vescovo Sellitti ne permise il ritorno. A causa del terremoto del 1851, la parrocchia tornò di nuovo nella chiesa di Caravaggio (dopo verrà riportata definitivamente nel suo luogo originario). Dopo il terremoto del 1930, la chiesa venne riaperta nel 1947 dal parroco don Michele Di Sabato. Dopo il terremoto del 23 novembre 1980, il parroco don Domenico Traversi fece apportare altri restauri: i pilastri vennero rinforzati, la torre campanaria venne abbattuta e la porta d'ingresso venne rifatta con decorazioni di lamine bronzee. La chiesa venne definitivamente aperta il 29 giugno 1990 con la riconsacrazione del vescovo della diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa Vincenzo Cozzi. All'interno della chiesa vi sono le statue lignee della Madonna dell'Annunziata e dell'angelo Gabriele, e la statua della Madonna di Caravaggio (trasferita nella chiesa dell'Annunziata dopo l'abbattimento della chiesa di Caravaggio nel 1930). Oltre alle statue lignee, vi sono diverse statue in cartapesta dell'Ottocento del Sacro Cuore, dell'Immacolata, San Donato vescovo, Sant'Antonio da Padova e il crocifisso. All'inizio del Novecento vi erano le statue della Vergine del Buon Consiglio e dell'Addolorata. Nel 1920 circa, ad opera del parroco, vennero aggiunte le statue dei Santi martiri Cosma e Damiano (Santi Medici).
Chiesa privata fatta costruire dalle suore dell'Istituto Mater Misericordiae ed aperta il 24 giugno 1994 di fronte alla stazione ferroviaria FS Rionero-Atella-Ripacandida. All'interno un bellissimo mosaico di Gesù Misericordioso e la statua della Madonna della Misericordia protettrice delle sorelle misericordiose. Adiacente alla chiesa si trova il convento delle suore (casa generalizia) fondato nell'immediato dopoguerra.
Di origini incerte, si pensa sia stata costruita dagli abati benedettini di Monticchio tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII, stando allo stile architettonico dei muri e delle finestre molto simile a quello del castello e della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Melfi e dell'Abbazia della SS. Trinità di Venosa. L'edificio ha subito vari restauri dopo i terremoti del 1316, 1651, 1851. La chiesa di Sant'Antonio fu anche luogo di incontro il 1º aprile 1502 tra Louis d'Armagnac, duca di Nemours e Consalvo Fernandez di Cordova, supremi comandanti degli eserciti francese e spagnolo, incontratisi per decidere la spartizione del Regno di Napoli. Una lapide posta all'esterno ricorda questa riunione.
Cappella privata fatta costruire da don Leonardo De Martinis per la sua famiglia nel 1769 in onore di San Nicola di Bari.
In passato esisteva anche la Chiesa di Caravaggio, consacrata dal vescovo Luca Antonio della Gatta, costituita da una navata e da un unico altare dedicato alla Madonna di Caravaggio. Venne distrutta dal terremoto del 1930 e non fu più riedificata. Altri edifici religiosi sono la Chiesa del Santissimo, dedicata a San Michele, e la Chiesa di San Pasquale, costruita dai Corona, famiglia agiata del posto, nel 1773.
Il più importante degli edifici signorili della città. Fu costruito agli inizi del Settecento, quando Carmelo Fortunato, ascendente di Giustino, lasciò Giffoni Sei Casali per stabilirsi a Rionero. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, il palazzo venne ampliato dal figlio Pasquale e, in seguito, dal nipote Anselmo. Qui l'11 aprile 1807 si fermò il sovrano Giuseppe Bonaparte, durante un viaggio da Venosa aValva. Il palazzo ospitò anche Ferdinando II di Borbone nel 1846, durante il suo viaggio da Potenza a Melfi e il presidente del consiglioGiuseppe Zanardelli nel 1902. Con Giustino Fortunato, il palazzo divenne punto di incontro di diversi intellettuali tra cui Benedetto Croce,Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti. Nel 1970, il Palazzo Fortunato è stato acquistato dall'amministrazione comunale e, attualmente, ospita la Biblioteca Comunale ed è sede di varie manifestazioni culturali.
Situato nel centro storico, fu costruito nella seconda metà del XVIII secolo, come attestato dalla data incisa sulla chiave del portale in pietra viva. I proprietari erano persone di spicco della zona, ad esempio l'avvocato Francesco "Ciccio" Pierro è stato sindaco della località per vari anni, oltre che consigliere e deputato provinciale. Dopo il terremoto del1980, il Palazzo Pierro fu oggetto di ristrutturazione, conservando lo stile architettonico originario.
In genere chiamato Orologio della Costa, sorge nel rione omonimo ed offre un suggestivo panorama del comune. Venne costruito su commissione della Giunta comunale (delibera del 21/12/1888) per collocarvi il vecchio orologio. Il progetto venne attuato dal perito Giulio Pallottino, mentre la costruzione venne curata dal muratore Francesco Di Lonardo. La sua posizione strategica garantiva a tutti i cittadini (a quel tempo) di poter osservare l'orario in qualsiasi punto della città, ai tempi in cui l'orologio non era alla portata di tutti.
Collocato vicino alla Chiesa del SS. Sacramento, per onorare i 180 rioneresi morti durante il conflitto. Inaugurato il 26 giugno 1927, è sormontato da una scultura che rappresenta due giovani soldati e dietro domina la statua della dea Minerva, simbolo della Vittoria.
Eretta nel "Rione Sant'Antonio", nello stesso punto in cui 16 rioneresi furono barbaramente uccisi dai soldati nazisti il 24 settembre 1943. Il 29 settembre 2003, l'on. Pier Ferdinando Casini, allora presidente della camera dei deputati, giunse a Rionero per rendere omaggio al loro sacrificio e donare al comune la medaglia al merito civile.
Un insediamento agricolo termale del periodo romano, scoperto in epoca recente, nel 2004. Gli scavi archeologici videro la partecipazione di ricercatori provenienti dalle Università di Alberta (Canada) e Sydney (Australia), e dall'Università Ben Gurion del Negev (Israele).[12] Il complesso ha conosciuto diverse fasi storiche. Il nucleo originario è costituito dai resti di una villa patrizia e di un impianto termale il quale, secondo le ricerche effettuate, risale all'incirca tra il I e il II secolo a.C.; una seconda fase di costruzione sarebbe avvenuta nel II secolo d.C., confermata dal ritrovamento di una moneta dell'imperatore Marco Aurelio Probo. Altre modifiche, come la costruzione di un ninfeo, sono datate IV secolo d.C. e verso la fine del V secolo d.C. fu aggiunta un'abside dotata di circa 11 metri di diametro. Nel VI secolo d.C., le nuove strutture furono dotate di un sistema di fortificazione e, nel VII secolo d.C., avvennero le ultime operazioni di ampliamento. Durante le ricerche è stata anche rinvenuta una statua in marmo della dea Afrodite, probabilmente datata I secolo e risalente alla scuolaprassitelica. Il simulacro è attualmente conservato presso la biblioteca comunale.